Per rilanciare il commercio non serve fare la guerra ai grandi gruppi
09 Agosto 2011
L’opposizione in Consiglio regionale può dirsi soddisfatta. E può godersi la pausa estiva nella convinzione di aver portato a casa un risultato importante. Se è davvero così lo diranno i fatti. Per il momento c’è solo da prendere atto che la Regione Abruzzo, grazie alle pressioni del consigliere di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo, ha prorogato per altri due anni il blocco degli insediamenti delle grandi superfici di vendita. Di fronte a questa decisione, si impone un’attenta riflessione.
E’ vero, infatti, che il territorio abruzzese presenta una particolarità: rispetto al numero di abitanti si registra la più alta percentuale di concentrazione relativa alla grande distribuzione. E’ vero anche che ciò ha creato non pochi problemi ai piccoli commercianti, che rappresentano una risorsa fondamentale e che come tale va tutelata. Ma siamo sicuri che la via giusta per conciliare gli interessi del piccolo commerciante con le mutate abitudini del consumo e soprattutto con la radicale modifica dei ritmi dell’organizzazione e dello stile di vita delle famiglie, e favorire così la ripresa dei consumi in Abruzzo, sia quella di ricacciare indietro come un mostro a quattro teste i grandi investimenti nel commercio, bloccandoli per ben quattro anni?
Piuttosto che puntare il dito contro l’obiettivo più semplice, l’ipermercato, sarebbe stato certamente più utile ragionare sul perché, per rilanciare il commercio regionale, è sembrato giusto ricorrere a questa norma, illiberale e antistorica, pensando che da sola potesse bastare a proteggere le prerogative degli interessati. E allora probabilmente ci si sarebbe resi conto che ciò che occorre è una disciplina organica che riformi l’intero settore tenendo conto di tutti gli interessi in campo e che adegui il tessuto socio-economico regionale ai tempi mutati. Senza oltretutto dimenticare che se la gente acquista meno è perché ha pochi soldi da spendere. E che i moderni ritmi di vita impongono spesso orari incompatibili con quelli del salumiere di quartiere.
Secondo la nostra visione, liberale e autenticamente sussidiaria, imporre per legge regionale vincoli, restrizioni e limiti, è l’esatto contrario di quello che sarebbe necessario al settore per un vero rilancio. A nostro avviso – ed è il primo punto – una vera campagna di liberalizzazioni e di sburocratizzazione è quello di cui il settore ha bisogno, concedendo magari ai Comuni, che sono gli enti più vicini ai cittadini/consumatori, il diritto/dovere di interpretare i bisogni di tutti e di conciliarli nella maniera più opportuna, dettando le regole del settore.
Secondo punto. Pensiamo che il rilancio del piccolo commercio non possa passare dalla eliminazione dell’avversario, identificato con la grande distribuzione, perché non è essa soltanto la causa di tutti i mali. Il rilancio ha bisogno della modernizzazione del ruolo dei piccoli esercizi che devono ripensare il loro modo di stare sul mercato. Ecco che un’ipotesi è quella dell’aggregazione in centri commerciali naturali, che rendono attrattiva e comoda la spesa in centro. E questo sia al livello di servizi (parcheggi, servizi per bambini, carrelli, bagni pubblici) di cui oggi non c’è traccia. Sia per gli orari, troppo spesso inconciliabili con le esigenze delle famiglie moderne.
Allora, con sincerità e lungimiranza, se davvero vogliamo affermare di avere a cuore le sorti del commercio in Abruzzo, non facciamoci tentare dalla facile demagogia del no alla grande distribuzione e alle aperture domenicali dei negozi. Invece, apriamo una riflessione seria sulla nuova legge di settore, tenendo in debita considerazione le esigenze di tutti: commercianti, cittadini e consumatori. Ma non solo: anche il territorio regionale, che non è tutto uguale. Solo ragionando in questo modo aiuteremo davvero il settore a fare un passo avanti, a uscire dalla crisi per raggiungere l’obiettivo che ora sembra un miraggio: la crescita e lo sviluppo.