Per rilanciare il Pdl Alfano deve guidare una nuova ‘rivolta dei Puffi’
03 Luglio 2011
Il 1° luglio è stato il giorno della elezione di Angelino Alfano a segretario nazionale del Pdl, il primo passaggio di consegne nella storia politica di Silvio Berlusconi. Il 1° luglio e stata anche è la giornata mondiale dei Puffi, i piccoli personaggi, azzurri per natura, dei fumetti e dei cartoni animati.
Nel suo discorso di investitura Angelino Alfano ha ricordato di aver scelto la politica sentendo alla televisione, nel 1994, quell’imprenditore con il sole in tasca che annunciava la sua discesa in campo in nome della libertà.
Chissà se nel 1984 l’allora tredicenne Angelino Alfano era tra quanti parteciparono alla “rivolta dei Puffi”, la prima battaglia mediatica di massa lanciata da un brillante imprenditore di 47 anni, creatore della tv privata nazionale, Silvio Berlusconi?
A quasi trent’anni da quella vicenda, vale la pena rievocarla per chi non l’abbia vissuta o non la ricordi.
Silvio Berlusconi, fondatore di Canale 5, aveva da poco vinto la battaglia dell’etere con l’acquisto di Rete 4 dalla Mondadori e di Italia 1 dalla Rusconi. Grazie a Berlusconi la televisione privata italiana aveva compiuto un salto di qualità. Ma, come spesso accade, la legge era lontana dalla realtà. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che nel 1976 aveva dichiarato illegittimo il monopolio televisivo, il Parlamento aveva autorizzato la diffusione di programmi televisivi a livello regionale, vietando la trasmissione in contemporanea su tutto il territorio nazionale. Libertà d’antenna marginale, che non consente la raccolta pubblicitaria dei grandi investitori, i quali chiedono che davanti allo schermo ci siano milioni di telespettatori.
Per rompere questa gabbia, senza violare la legge, Silvio Berlusconi aveva inventato un ingegnoso metodo per trasmettere quasi in contemporanea i programmi televisivi.
A tutte le sedi regionali delle tre emittenti venivano inviate le videocassette contenenti la programmazione completa (programmi e spot pubblicitari) della giornata. Ogni sede locale, poi, aveva indicazione di mettere in onda i programmi ad un orario diverso di pochi minuti l’una dalle altre.
Già allora esistevano, però, magistrati che pretendevano di dettare legge, anziché applicarla. E tre pretori di Torino, Roma e Pescara la mattina del 16 ottobre 1984 disattivarono gli impianti Fininvest di quelle città.
Silvio Berlusconi decise di non limitarsi ai ricorsi in tribunale e diede battaglia aperta al monopolio tv: quel pomeriggio i telespettatori del Piemonte, del Lazio, dell’Abruzzo e di una parte delle Marche, sintonizzandosi sulle reti del Biscione videro solo disturbi; fino alle 20:20, quando apparve un cartello: “Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale 5 (o di Italia 1 o di Retequattro) regolarmente in onda nel resto d’Italia”.
Il popolo della tv (tra cui moltissime mamme sollecitate dai loro bimbi che non potevano più vedere i loro amatissimi Puffi) scatenò una immediata rivolta: furono tempestati di telefonate i giornali di Roma e Torino e lo stesso centralino Fininvest. Nelle ore successive le tre reti misero in onda un diverso cartello, con il quale si invitavano gli spettatori a telefonare alla presidenza del Consiglio e ai tre pretori. Anche la Rai, sospettata di aver favorito l’oscuramento delle reti del Biscione per ragioni di concorrenza, finì nel mirino dei manifestanti, tanto che in serata il presidente Sergio Zavoli rilasciò una dichiarazione di solidarietà a Fininvest.
Su la Repubblica del 17 ottobre apparve un durissimo commento non firmato che iniziava così: “Tre regioni italiane subiscono da ieri il black out totale delle televisioni private, imposto dall’iniziativa del pretore. È presumibile che entro poche ore il provvedimento di sequestro delle videocassette e il divieto di utilizzare i ponti radio che collegano gli studi di registrazione con le stazioni emittenti si estenda a tutto il territorio nazionale, ripristinando in tal modo, per mano del magistrato, quel monopolio della Rai che era stato abolito da una sentenza della Corte costituzionale di molti anni fa, dai progressi della tecnologia e dall’unanime domanda degli utenti”. E che si concludeva con una durissima requisitoria: “I pretori avranno certo qualche argomento giuridico formale cui appigliarsi; ma la classe politica non ha nessuna attenuante per l’inerzia e il disprezzo con il quale ha considerato una delle attività primarie d’una società tecnologica avanzata”. Quella sera la battaglia proseguì con una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show.
Pochi giorni dopo il suo inizio “la rivolta dei Puffi” si concluse vittoriosamente: sabato 20 ottobre il governo guidato da Bettino Craxi emanò un decreto-legge che consentiva alla Fininvest di continuare le trasmissioni sul territorio nazionale.
Fu quella la prima battaglia politica di Silvio Berlusconi, condotta dieci anni prima della discesa in campo del 1994. Una battaglia di libertà e di modernità in un’Italia che presentava preoccupanti tratti di socialismo reale.
Da quel lontano 1984 in Italia sono accaduti fatti allora inimmaginabili, ma ancora oggi la libertà non è né piena, né compiuta, nonostante i molti anni di governo berlusconiano.
Angelino Alfano, eletto nella giornata mondiale dei Puffi, non è soltanto il figlioccio a cui il padre politico affida una sua intrapresa. Alfano è il più bravo della prima generazione dei “berlusconiani puri”, di quei giovani che hanno deciso di fare politica attratti dal carisma di Silvio Berlusconi, sedotti dalla gioia che emana dagli inni che hanno accompagnato la vita dei movimenti berlusconiani, convinti dalla linearità e dalla adamantina semplicità dei discorsi politici dell’imprenditore “prestato” alla politica, forgiati nelle alterne sorti dell’avventura politica e umana di Silvio Berlusconi.
È per queste ragioni che tutti sostengono Angelino Alfano. Egli, infatti, rappresenta lo stato nascente delle origini insieme al processo di istituzionalizzazione della “traversata nel deserto”; la difficile stagione del “più fattivo e duraturo governo della storia della Repubblica” e del suo tentativo abortito di scrivere la nuova Costituzione; la rivoluzione del predellino e la controversa esistenza del Popolo della Libertà, che nel giro di un anno è passato dall’illusione della invincibilità allo spettro della repentina scomparsa.
Alfano è l’incarnazione più autentica del berlusconismo, non solo perché ne ha vissuto tutte le stagioni (questo è accaduto a molti altri, me compreso), ma perché si è formato nell’epoca berlusconiana, in quella lunga stagione in cui la televisione è stato insieme il mezzo di diffusione e formazione tecnologicamente più avanzato e in cui le reti Fininvest (Fininvest, non Mediaset) hanno espresso una formidabile rivoluzione dei costumi, dei linguaggi, delle abitudini quotidiane, della rottura del senso comune in cui la società italiana era ingabbiata.
Oggi Alfano ‑ che ha ben chiara in testa la dimensione della libertà quale valore fondante di una forza politica in grado di raccogliere il consenso della maggioranza degli italiani ‑ ha dinanzi a sé un compito straordinario e straordinariamente difficile: restituire al Popolo della Libertà l’entusiasmo e la passione necessarie per riprendere il filo di quella “rivoluzione liberale” per realizzare la quale Silvio Berlusconi ha fondato il centrodestra in Italia.
Purtroppo le straordinarie resistenze esterne al cambiamento da un lato e un insieme di spinte interne (il cedimento allo status quo, alcune pulsioni stataliste mai sopite, alcuni rovesciamenti di convinzioni antiche in campo economico e sociale) hanno oscurato il faro della libertà e tradito aspettative e speranze di milioni di elettori (e di molti di noi) che oggi hanno messo in mora il PdL.
Il partito che Angelino Alfano ha detto di desiderare è quello che ciascuno di noi vuole, ma è chiaro che quelle poste da Alfano sono condizioni necessarie, indispensabili, ma non sufficienti. Se le nostre realizzazioni sono lontane dai nostri programmi o addirittura sono il loro contrario, non saremmo sconfitti soltanto noi, ma anche le nostre migliori idee; e questo sarebbe il peggior lascito.
Dobbiamo ritrovare la forza di cambiare. Per conservare lo status-quo sono molto più adeguati i nostri avversari. Provate a chiedere se non è vero a quei quattro milioni di partite Iva che hanno sempre rappresentato il cuore del blocco sociale del centrodestra e a cui proprio il centrodestra ha fatto pagare in questi tra anni il prezzo più alto della crisi. E che sono pronte oggi a una nuova “rivolta dei Puffi”.