Per ritrovare il consenso dei francesi Sarkozy rinuncia alla “rupture”

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Per ritrovare il consenso dei francesi Sarkozy rinuncia alla “rupture”

27 Gennaio 2010

Pedagogico e mai sopra le righe. Così Nicolas Sarkozy ha scelto di inaugurare il suo 2010, anno decisivo nel corso del quale il presidente si gioca le sue possibilità di permanenza all’Eliseo in vista della presidenziale di inizio 2012. Passata la boa di metà mandato il tempo comincia a stringere, considerato che l’ultimo anno sarà dominato dalla lunga campagna elettorale. Un anno per fare cosa?

Sarkozy lo ha chiarito nei venti minuti di intervista concessa a Laurence Ferrari all’interno del telegiornale delle 20, ma soprattutto lo ha ben spiegato agli undici francesi selezionati che lo hanno incalzato per circa due ore con le loro domande, perplessità e lamentele.Un solo obiettivo: proseguire nella modernizzazione del Paese. E questo, nell’immediato, significa mettere mano al sistema pensionistico oramai al collasso: il deficit del deposito previdenziale è in costante aumento e ad oggi il rapporto tra personale attivo e pensionati è solo di 1,5 (negli anni Settanta il rapporto era di tre a uno). Alla base dell’innovazione dovrebbe esservi l’innalzamento dell’età pensionabile perlomeno di due anni, tema tabù sul quale però di recente anche la leader del Ps Martine Aubry ha dato segnali di apertura.

Sarkozy ha affrontato il suo grand oral avendo ben chiaro che il suo costante basso gradimento, da mesi  sotto il 40%, è in larghissima parte dovuto alla pessima performance economica del Paese. Sondaggi ed analisi precedenti all’incontro televisivo, compreso uno lanciato dallo stesso Sarkozy su Facebook, hanno confermato le tre priorità attuali per il cittadino francese: lotta alla disoccupazione, aumento del potere d’acquisto e timore per la propria pensione. Sarkozy su tutti e tre i punti ha cercato di rassicurare e di presentare un volto quasi compassionevole. Nei prossimi mesi le proiezioni parlano di una sensibile diminuzione del livello di disoccupazione, avanti con gli sgravi fiscali per le classi medie (le più colpite dalla crisi) e riforma delle pensioni entro l’estate.

La concretezza è stata certamente la cifra costitutiva del «nuovo Sarkozy», ma il discorso elettorale immediato non poteva essere eluso. Il 14 e il 21 marzo si svolgeranno le delicate elezioni regionali. Momento decisivo per il Ps che guida 20 delle 22 regioni della Francia metropolitana, momento altresì cruciale per l’Ump le cui difficoltà a livello locale sono costanti (peraltro aumentate dopo la proposta di legge di riordino e soppressione dei consigli regionali da sostituire  con i consigli territoriali) e i sondaggi per nulla favorevoli. Ebbene Sarkozy ha scelto la discontinuità rispetto al recente passato e la continuità rispetto al primo gollismo. Affermando a sorpresa di non volere impegnare la figura del presidente in questa contesa «partigiana», Sarkozy ha da un lato smentito se stesso (il 30 novembre all’apertura della campagna Ump aveva promesso un impegno diretto alle regionali) e dall’altro ha riproposto l’immagine di un presidente impegnato a tracciare le grandi linee della politica nazionale, come da consuetudine del «monarca repubblicano» della V Repubblica.

Il non impegno diretto nella campagna elettorale regionale, che sarà naturalmente tutto da verificare nei fatti, cela anche una parziale discontinuità rispetto all’operato recente di Sarkozy, in particolare rispetto al rapporto con il suo primo ministro Fillon. Anche da questo punto di vista Sarkò fino ad oggi aveva fornito un’interpretazione originale della cosiddetta «diarchia» dell’esecutivo. La sua sovraesposizione è andata di pari passo con la scelta di non fare del primo ministro lo schermo protettivo del capo dell’Eliseo, magari da sacrificare nel corso del mandato presidenziale. Questa volta Fillon sarà solo nella prima linea delle elezioni regionali e nonostante Sarkozy abbia confermato che il rapporto con il primo ministro gode di ottima salute, il dopo regionali qualche sorpresa potrebbe riservarla.

Si è detto dell’intento pedagogico e quasi «bonario» del presidente, che ha scelto più volte di parlare dei francesi come di una grande famiglia all’interno della quale si deve per forza di cosa parlare per poter risolvere insieme i problemi più spinosi. Alcuni commentatori si sono spinti a parlare di un recupero di quell’immagine di «forza tranquilla» così cara a François Mitterrand.

Su un unico punto Sarkozy non ha mutato tono e si è presentato duro ed ultimativo: il tema dell’immigrazione clandestina. A proposito dello sbarco di un centinaio di clandestini sulle coste della Corsica ha avuto parole dure: «non lascerò la Francia disarmata di fronte agli immigrati clandestini che arrivano su barconi come accade sulle coste italiane». Accoglienza e verifica delle richieste d’asilo, ma anche riconoscimenti e rimpatri immediati, questa la ricetta confermata. Il tutto all’insegna di quella «immigrazione scelta» che resta ancora la parola d’ordine del presidente. Il riferimento all’Italia tradisce però la debolezza di una politica dell’immigrazione condotta autonomamente e non inserita in un quadro europeo complessivo.

L’economia sembra dominare l’interesse dei cittadini e di conseguenze le preoccupazioni dell’inquilino dell’Eliseo. Ha finito inevitabilmente per restare in secondo piano la questione del burqa, proprio alla vigilia della consegna nelle mani dello stesso Sarkozy del rapporto realizzato dalla commissione parlamentare Gerin-Raoult (comunista il primo e gollista il secondo). Il tema divide trasversalmente le forze politiche, ma non raccoglie consensi neppure tra i vari rappresentanti religiosi (cattolici ed ebrei innazitutto). Il timore è quello del risorgere di un laicismo assoluto che per forza di cose finirebbe per avere ricadute su tutte le confessioni del Paese. Spetta ora a Sarkozy scegliere cosa mantenere e cosa modificare di una proposta di legge che, se approvata così come è, condannerebbe il velo integrale in quanto contrario ai valori repubblicani e lo proibirebbe in numerosi contesti pubblici, ma allo stesso modo incrementerebbe i finanziamenti statali per la diffusione di un islam francese.

Si è dunque aperta una fase nuova del quinquennato presidenziale? La crisi è una condizione necessaria per spingere sul fronte delle riforme, non è però una condizione sufficiente. Certamente Sarkozy ne è consapevole e ha lanciato una nuova scommessa. Dopo due anni e mezzo di attivismo e volontarismo forsennati accompagnati da una quotidiana politica di annunci, ora si opta per la condivisione e il dialogo. Sull’altare della pedagogia finiranno per smarrirsi dinamismo e forza creativa?