Per salvare il nostro patrimonio culturale i privati sono costretti a pagare l’Iva
26 Giugno 2011
di Carlo Zasio
“Non possiamo sfavorire l’intervento privato nei beni culturali. Dobbiamo aumentare le agevolazioni per chi investe in cultura, continuare a fa pagare il 19% di IVA sulle sponsorizzazioni e il 10% sui lavori edili per i restauri vuol dire non capire che cos’è l’Italia”. Con queste parole il Ministro Galan ha inaugurato il recupero di Villa dei Vescovi a Luvignano di Torreglia sui colli Euganei, primo esempio del passaggio dal castrum alla villa patrizia che, grazie al modello palladiano, dalle campagne venete arriverà nei secoli fin sui prati della Virginia.
Donata al Fondo per l’Ambiente Italiano nel 2005 da Maria Teresa Olcese e dal figlio Pier Paolo per adempiere le ultime volontà di Vittorio Olcese, storico repubblicano e stretto collaboratore di Giovanni Spadolini, il sito è uno straordinario esempio di storia dell’architettura e del paesaggio.
Collocato su un poggio a mezz’altezza alle pendici settentrionali del Monte Rua all’incrocio di due valli, edificato sulle risultanze di alcuni insediamenti altomedievali, fu commissionato dal vescovo di Padova, Francesco Pisani, come residenza di villeggiatura. Costruita tra il 1535 e il 1542 per opera degli architetti Giovanni Maria Falconetto, Giulio Romano, Andrea da Valle e Vincenzo Scamozzi, affrescata dal fiammingo Lambert Sustris con scene campestri e mitologiche, fu concepita dall’aristocratico erudito Alvise Cornaro e dall’umanista Pietro Bembo come dimora in cui favorire la cura dell’anima e dell’intelletto attraverso una piena compenetrazione con il territorio. Finita la necessità di rispondere alle esigenze difensive, la villa si apre così alla campagna con un quadriportico, ampie logge e grandi finestre per contemplare il paesaggio, mentre il brolo e la vigna diventano il segno del passaggio dal cultus al saltus dove natura e civiltà si incontrano.
Ora, grazie al sostegno di Arcus – che ha finanziato i lavori con un contributo di un milione – e di tanti privati, tra cui le Fondazioni Antonveneta e Cassa di risparmio di Padova e Rovigo – che hanno devoluto altri cinque milioni e mezzo di euro – questo gioiello è tornato finalmente a splendere, accessibile a tutti coloro che vorranno visitarlo e trascorrere una giornata di otium e godimento. Peccato che dei sei milioni di mezzo donati, 670 mila se ne siano andati in IVA invece di servire a completare i restauri. Manca ancora il fontanile: cercasi donazioni, possibilmente esentasse.