Per salvare l’Italia dal baratro serve intesa tra maggioranza e opposizione
12 Luglio 2011
Continuando a gridare al lupo, il lupo è venuto. Continuando a descrivere il nostro governo come incapace di portare l’Italia fuori dalla crisi e di arrivare al pareggio del bilancio nel 2014, hanno cominciato a fioccare le vendite allo scoperto sui titoli pubblici e privati della nostra borsa, mirando, in particolare, ai titoli bancari e ai BPT, i buoni poliennali del Tesoro, nel quadro del trend ribassista che caratterizza, in questo periodo, le borse dell’eurozona, i cui governi si sono impantanati nella diatriba sulle soluzioni, da adottare, per chiamare le banche a collaborare alla soluzione della crisi greca.
Non dimentichiamo che mentre le agenzie di rating degli USA, Standard e Poor e Moody’s, affermano che un roll over, ossia una proroga della scadenza dei titoli pubblici greci, da parte delle banche creditrici, per quanto per esse non obbligatorio, sarebbe di fatto un default, un fallimento, gli Usa stanno rischiando il fallimento del debito federale, perché esso sta oltrepassando il livello massimo consentito dalla legge. Ma una legge che autorizzi a varcare tale livello, modificando il tetti massimo vigente, non autorizzerebbe, di fatto, il default degli USA? La controversia fra dollaro ed euro, fra USA ed Europa, è il fatture endogeno che ha scatenato la speculazione contro i nostri titoli pubblici, ma c’è anche una causa esogena, senza cui il differenziale sui nostri BPT non sarebbe salito a quota 280-300 sui Bund. Dall’epoca della scissione di Gianfranco Fini era (ed è) in corso una campagna per affossare Berlusconi e il suo governo. Sembrava che l’operazione mettesse il governo in una situazione di minoranza numerica, ma non è stato così. E tramite uno stillicidio di recuperi, il governo è tornato ad avere una maggioranza consistente, tanto alla Camera che al Senato.
Nel frattempo perciò si è innestata una nuova operazione di natura processuale di carattere personale, tendente a screditare il premier e, insieme, a frastornarlo e tramortirlo, per poter sostenere che oramai non era più in grado di dirigere il governo. Così si è cominciato a discutere della caduta di Berlusconi e della estinzione del PDL che, secondo una teoria superficiale e contraddittoria, sarebbe una creatura artificiale, che può sopravvivere solo fin tanto che Berlusconi sopravvive politicamente. Se ciò fosse vero, ossia se fosse vero che il PDL esiste solo in quanto c’è Berlusconi, ciò vorrebbe dire che egli è un genio, un Faust della politica, di portata straordinaria. E tutte le critiche che gli vengono fatte, sarebbero prive di rilievo. Se non ché le cose non stanno così .
Berlusconi è, certamente, un leader di grande statura, ma il PDL, come formazione politica, ha una sua realtà autonoma perché risponde a una domanda economico-sociale oggettiva della realtà italiana. Mentre si anatomizzava il declino di Berlusconi, si cercavano i nuovi leader che avrebbero dovuto attuare l’operazione trasversale di creare una nuova maggioranza, formata dal centro con più tronconi del PDL e del PD. E poiché la manovra di finanza pubblica che Tremonti aveva attuato nel 2010 stava avendo successo e veniva alla luce una sua nuova grossa manovra, di oltre 40 miliardi, che avrebbe consentito all’Italia di azzerare il deficit nel 2014, si è cominciato a puntare su di lui, come leader della nuova maggioranza del dopo Berlusconi. Le quotazioni di questa opzione parevano essersi accresciute dopo la sconfitta che la maggioranza di governo ha subito, nelle elezioni di medio termine, nei due grandi comuni di Milano e di Napoli. Ma mentre si stava oramai delineando questa nuova alternativa, ecco due eventi che hanno scompigliato le carte in tavole e il gioco che sembrava fatto.
Da un lato, nella Lega Nord è emersa la candidatura di Maroni a numero uno dell’alleanza Lega PDL, mentre Tremonti, che pareva il delfino di questo asse, non lo era più. La sua manovra di finanza pubblica in contrava critiche nella Lega, che peraltro rimaneva fedele all’alleanza con il PD. D’altra parte, mentre ciò accadeva, Berlusconi sceglieva Alfano come segretario e leader del PDL che, invece di frazionarsi in correnti, si compattava, riconoscendolo come guida. A questo punto l’alternativa Tremonti è apparsa, agli anti-berlusconiani, come impraticabile. E di colpo alle lodi per il futuro leader sono succedute le insinuazioni velate (ma non tanto) a suo carico, riguardanti il suo rapporto con Marco Milanese, suo stretto collaboratore.
Dagli altari di Repubblica e de Il Corriere del Sera alla polvere. La manovra di 45 miliardi che lui aveva fatto, contando anche sulla simpatia dell’opposizione, discendente dal fatto che essa contiene una mini patrimoniale, costituita dalla tassazione dei portafogli di titoli dei privati, gestiti dalle banche, veniva disprezzata dal PD come inadeguata, mentre veniva criticata dalla maggioranza di governo, non per la sua costruzione macro economica, ma perché contrastante, in questo aspetto e in alcuni altri, con la sua linea generale. Il voltafaccia contro Tremonti dei media e delle forze politiche che avevano individuato in lui il nuovo leader, verosimilmente andando molto al di là di quel che lui desiderasse, serviva a mostrare due cose: che il Ministro dell’economia è “debole” e che i suoi contrasti con Berlusconi e con la maggioranza, rendono incerti gli esiti della manovra di finanza pubblica di 45 miliardi con cui l’Italia dovrebbe raggiungere il pareggio del bilancio nel 2014. Ergo siamo in emergenza perché la manovra di finanza pubblica è inadeguata e se non lo è, comunque è inadeguata la maggioranza che dovrebbe garantirne la attuazione, senza annacquamenti, dati i dissensi fra il premier e Tremonti e la debolezza politica di questi: e per uscirne dobbiamo fare un governo di solidarietà nazionale o, almeno, costituire una nuova va maggioranza, a geometria variabile, per affrontare “in modo coeso” la situazione.
A questo punto, la speculazione finanziaria internazionale si è scatenata sulla nostra borsa e sui nostri titoli debiti pubblici: nella guerra fra il dollaro e l’euro, come lasciarsi sfuggire una carta così preziosa? La risposta da dare ora è semplice, consiste nell’approvazione entro la settimana della manovra di finanza pubblica nella Commissione bilancio del Senato, con poche modifiche, attuate senza variazione degli obbiettivi di riduzione del deficit previsti per il quadriennio, da parte di una maggioranza compatta, in modo da rendere chiaro che entro due settimane o poco più, il parlamento l’avrà approvata. Se l’opposizione si renderà conto che “sparare sul pianista” è autolesionistico per gli elettori che essa rappresenta e collaborerà con la maggioranza, mediante la limitazione degli emendamenti e la accettazione di un calendario ristretto, avrà contribuito a ridurre l’onere che, frattanto, graverà sul Tesoro per la difesa del nostro debito pubblico.
Occorre questa coesione, non quella di un immaginario governo di solidarietà nazionale o di una politica di larghe intese a geometria variabile, per dare ai mercati la sensazione che l’Italia stia mantenendo l’impegno per il pareggio del bilancio nel 2014, senza se e senza ma. Ed ovviamente, l’opposizione e i grandi media, che avevano dato Berlusconi e Tremonti per (quasi) finiti oltreché in dissidio, la Lega Nord in libera uscita dalla coalizione di governo, il PDL in dissoluzione, dovranno rendersi conto che è la loro coesione e la loro politica di rigore che impedirà all’Italia di soccombere in una partita all’ultimo sangue fra dollaro ed euro, che la vede in prima linea.