Per salvare milioni di vite si può anche usar la violenza

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Per salvare milioni di vite si può anche usar la violenza

04 Maggio 2011

Vi siete mai chiesti come mai in Italia, a differenza che negli Usa, vi siano tanti pentiti di mafia? Avete mai visto la cella in cui è detenuto Totò Riina, l’anfratto di pochi metri in cui può “prendere l’aria”, il suo gabinetto, in cui è costretto a fare i suoi bisogni sempre sotto gli occhi della guardia carceraria, la sua celle sempre con la luce accesa,  il suo regime alimentare? Domande utili perché portano a una constatazione che è difficile negare: il regime imposto in Italia ai mafiosi tramite il “41 bis” rappresenta una forma di tortura psicologica soft finalizzata al pentimento, per evitare  nuovi delitti di mafia (e peraltro funziona perfettamente e induce con la sua violenza al “pentimento” anche i mafiosi più convinti). Pure, non vi è forza politica che si opponga alle torture soft previste dal 41 bis e la stessa Chiesa, sul punto, opportunamente tace.

Perché questa strana acquiescenza nei confronti di una tortura soft? È semplice, perché è applicata a mafiosi, a criminali che sciolgono i bambini nell’acido. Mafiosi e non terroristi, e quindi criminali privi di qualsiasi motivazione politico-ideologica, che subito emerge quando si parli di torture, sia pure psicologiche, sia pure soft, da applicare a terroristi per evitare nuove stragi. Partiamo dunque da qui per affrontare il tema scabroso delle torture, su cui è difficile avere certezze granitiche. È assolutamente  apprezzabile la posizione di chi sostiene che la tortura – anche  quella psicologica – è comunque e sempre inammissibile. Ma non mi convince, neanche sotto il profilo etico. Se voi foste un agente dei servizi, e aveste catturato un terrorista, e sapeste con certezza documentale indubitabile che sa dove è stata messa una bomba nella metropolitana di una città europea – ma non sapete quale – che deve esplodere, non sapete in che giorno e questi si rifiutasse di dirvi dove è e quando esploderà, siete sicuri che fareste male a impiegare tutti i mezzi della più violenta pressione psicologica – impedire di dormire è devastante – per salvare decine, centinaia di vite umane?

Io no. Sono certo che di fronte alla mia coscienza non potrei mai usare metodi di costrizione fisica – inclusa la tortura dell’acqua usata negli Usa contro membri di Al Qaeda – ma sono anche certo che costretto dalla violenza progettata dal  terrorista, quindi non libero di scegliere, per impedire che quella violenza si concretizzi, impiegherei tutti i mezzi di tortura psicologica possibile (terribile quella delineata in 1948 di George Orwell: la visione  ravvicinata, il contatto con l’animale che dà idiosincrasia), per non parlare dei purtroppo poco efficienti “sieri della verità”.

Questo, naturalmente, a due condizioni, che si tratti non di un normale contesto, ma di un contesto di guerra, elemento che i contrari alla tortura spesso evitano di affrontare (e il contrasto al terrorismo è una guerra), e che le forze di sicurezza autorizzate a impiegare tali mezzi siano sotto il ferreo controllo di una istituzione democratica che ne risponda sotto tutti i profili.

(tratto da Libero)