Per sapere chi saranno i nuovi capi di Rai Tre bisogna aspettare le primarie

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Per sapere chi saranno i nuovi capi di Rai Tre bisogna aspettare le primarie

26 Agosto 2009

All’interno delle riserve indiane tradizione vuole che ogni nuovo leader ottenga il titolo di Grande Capo solo dopo aver superato una serie di prove ed essere stato sottoposto a riti di iniziazione ben precisi. All’interno di Rai Tre, la riserva da sempre lasciata alla sinistra dalla tv pubblica italiana, valgono più o meno le stesse regole. O almeno valevano, prima dello scoppio del bubbone nato con il varo del Partito Democratico.

Il rimescolamento tra ex Ds ed ex Dl, in mancanza di valori comuni e soprattutto di una guida forte e carismatica, aggiunto all’eterna e stucchevole lotta fratricida tra dalemiani e veltroniani, ha prodotto l’impasse sulle nomine dei direttori della rete e del Tg. E così, nonostante le inevitabili smentite, sembra proprio che i nuovi capi saranno scelti in base al responso che daranno le primarie del Pd del 25 ottobre.

Si tratta di pura lottizzazione, così come impone rigidamente il protocollo di Viale Mazzini, e quindi non c’è molto di nuovo di cui stupirsi. Certo, però, si tratta di una forma di lottizzazione più intollerabile del solito perché legata a un evento lontano due mesi, perché attuata da quella parte politica, l’opposizione, che libera da responsabilità di governo avrebbe agio e convenienza a mostrarsi come un’alternativa credibile e pulita per il futuro, e perché interamente svolta addirittura all’interno di un solo partito, con buona pace delle altre forze estranee alla maggioranza. Le quali, del resto, in pace non stanno.

Gli strali di Di Pietro ancora echeggiano nella sede del Pd: “Dopo le nomine dei controllori della Commissione di Vigilanza, dopo la spartizione del Cda, dopo l’occupazione delle dirigenze, rinnovate a prescindere dalla meritocrazia e dall’operato degli uscenti, stiamo assistendo all’ultimo scandaloso show sul ritardo nelle nomine di Tg3 e Rai Tre”. Un punto di vista anche condivisibile. Peccato che lo stesso Di Pietro dimentichi come l’anno scorso, di questi tempi, la Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai non riuscisse a formarsi solo perché il lotto del presidente era stato appaltato da Veltroni, allora leader del Pd, proprio all’Italia dei Valori, arroccata per mesi e mesi sul solo nome di Leoluca Orlando, del tutto indigesto alla maggioranza di centrodestra.

No, il problema non è l’urlo di scandalo delle false vergini. È semmai la calcificazione e il consolidamento di prassi deteriori, e in altri paesi del tutto sconosciute, regolarmente deplorate pubblicamente e regolarmente reiterate.

Una simbiosi così assoluta tra le polverose gerarchie di Viale Mazzini e la giungla di poltrone dei palazzi del potere che nessuno ha trovato il modo di dire stop. Oltre alla generale sopravvalutazione strategica del ruolo di un capostruttura o anche di un direttore di testata Rai nelle dinamiche della pubblica fruizione mediatica e della loro ipotetica ricaduta in termini politici ed elettorali.

Questo nuovo autogol per il Pd potrebbe essere evitato in extremis trovando nomi nuovi (si fa per dire) e altisonanti, comunque sganciati dalle gang dei veltroniani e dei dalemiani: si parla di Giovanni Minoli alla rete ed Enrico Mentana al Tg. Si vedrà.

Per non abdicare al proprio ruolo, intanto, Rai Tre, nella trasmissione mattutina “Cominciamo bene”, ha ospitato ieri nei suoi studi Ignazio Marino, terzo incomodo tra Bersani e Franceschini nella corsa alla leadership del Pd, fino a poche settimane fa illustre sconosciuto nell’agone politico e praticamente alla sua prima performance televisiva. Un modo come un altro per dimostrare che, nonostante i ritardi nelle nomine dei nuovi grandi capi, il popolo della riserva è vivo e lotta insieme a noi.