Per sciogliere le Camere si devono seguire le regole, non invocare il ’94
30 Settembre 2011
Sotto il minaccioso titolo “Sciogliamo le Camere”, il giornale Il Fatto Quotidiano del 28 settembre, pubblica due interventi di due autorevoli costituzionalisti: Lorenza Carlassare e Valerio Onida. I due si esercitano su “quali strade si possono imboccare“ (come recita il sottotitolo del giornale) per consentire al Presidente della Repubblica di sciogliere anticipatamente le Camere, a prescindere.
A prescindere dalla Costituzione, innanzitutto. Perché se è vero che l’art. 88 cost. afferma che “il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”, altrettanto vero che questo atto il Presidente non lo può compiere in autonomia, anche perché tutti i suoi atti devono essere controfirmati (art. 89 cost.). Ecco perché la stragrande maggioranza della dottrina ha sempre definito l’atto di scioglimento “duumvirale”, e cioè condiviso tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio.
Lo sanno bene i due costituzionalisti de Il Fatto, e lo scrivono. Però azzardano altre ipotesi: la prima, prevede che qualora il Presidente del Consiglio si rifiutasse di controfirmare l’atto, allora il Presidente della Repubblica potrebbe sollevare conflitto fra poteri davanti alla Corte costituzionale per chiedere a chi spetta il potere di scioglimento (come è stato fatto nel caso del potere di grazia nel conflitto fra Ciampi e Castelli). A questo punto, sostiene la Carlassare, che tenuto conto dello “scandalo perdurante, il decoro delle istituzioni violato, la fedeltà infranta, il danno all’economia, non è azzardato pensare che il capo dello Stato, nel conflitto di attribuzioni, veda accolte dalla Corte le proprie ragioni”. Qui però l’azzardo è davvero troppo: non solo si suggerisce al capo dello Stato di aprire una crisi costituzionale al limite del “golpe”, ma addirittura si immagina altresì che la Corte debba dare ragione al capo dello Stato, per riconoscergli che cosa? che lo scioglimento è un potere formalmente e sostanzialmente presidenziale e che la controfirma è un atto dovuto, nei confronti della quale non ci si può opporre? Scenari a dir poco inquietanti e di un antiparlamentarismo fin troppo esacerbato….
Senz’altro più soft la posizione di Onida, il quale rivendica l’esercizio del “magistero di persuasione e di influenza” da parte del Presidente della Repubblica, affinché si adoperi per convincere il Presidente del Consiglio a dimettersi. Oppure affida al “residuo di consapevolezza, di autonomia e di ragionevolezza che non può albergare nelle menti e nei cuori di molti” parlamentari, anche della maggioranza, per votare la sfiducia e mandare così a casa Berlusconi. Anche se le recenti prove di parlamentarismo, con i voti sul diniego all’arresto per l’on. Milanese e la mancata sfiducia per il ministro Romano, dimostrano, piaccia oppure no, che la maggioranza parlamentare c’è e tiene.
Un paio di osservazioni. Forzare il potere di scioglimento attribuendolo di fatto al Presidente della Repubblica vuol dire forzare la Costituzione. Vuol dire altresì trasformare, di fatto, il nostro sistema parlamentare in un sistema a deriva presidenziale. Ben oltre il sistema francese, dove è vero che il Presidente può sciogliere in autonomia, anche perché l’atto non è sottoposto a controfirma, ma è altrettanto vero che il Presidente gode di legittimazione popolare e quindi risponde elettoralmente delle scelte che compie. Sarebbe, da noi, un punto di non ritorno. Possibile che non si pensi anche alla pericolosità di un simile precedente per un domani?
Qualcuno potrebbe invocare un precedente, che vorremmo invece rimanesse in ombra e semmai valesse come unica eccezione rispetto alla regola. E’ lo scioglimento del gennaio 1994, che non fu dovuto alla mancanza di una maggioranza parlamentare, che invece c’era ed era disposta anche a proseguire nell’esercizio delle proprie funzioni. Fu, piuttosto, uno scioglimento conseguente sia alla modifica del sistema elettorale sia all’accertamento di uno “scollamento” tra rappresentati e rappresentanti (come motivò il Presidente Scalfaro in una lettera inviata ai Presidente delle Camere e al Presidente del Consiglio).
Non fu una bella pagina di diritto costituzionale. Evitiamo di scriverne di peggiori.