Per sfidare la crisi c’è solo un rimedio: affidarsi a una classe politica coraggiosa

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Per sfidare la crisi c’è solo un rimedio: affidarsi a una classe politica coraggiosa

09 Gennaio 2012

C’è un legame molto stretto tra il crack di Lehman Brothers del 2008 e il costo della benzina, che oggi si attesta intorno a 1,8 euro al litro. Masse debitorie, ricapitalizzazioni forzate, licenziamenti e ristrutturazioni, fallimenti e crisi dei consumi, hanno invaso prima le cronache e poi, con pericoloso ritardo, le stanze della politica europea, che sembrava non accorgersi di cosa succedeva sul campo.

L’assedio alla politica europea da parte dei mercati ha sconvolto i paesi più deboli ed instabili, anche se in modi differenti. Lasciando stare il caso greco, paese indebitato e mezzo fallito fin dall’inizio della crisi, la Spagna ha salutato il governo Zapatero che all’alba della crisi ha rassegnato le sue dimissioni. La Francia si è divertita a sentirsi di nuovo "le monsieur europeen", indicendo vertici bilaterali e deponendo dittatori, salvo dimensticarsi di fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.

La Germania ha rinunciato da subito ad assumere il ruolo di locomotiva europea, nascondendosi dietro una Francia tanto impulsiva quanto debole. Frau Merkel, con negli occhi il rischio di iper inflazione che ha condannato Weimar, ha avuto solo una parola in risposta alla crisi: rigore. No agli Eurobond, no a finanziamenti agevolati alle banche, no a tutto ciò che non fosse ispirato al reperimento di risorse liquide ed immediate. In Italia è successo di più. La democrazia intera ha abbandonato la scena, debole e confusa, senza un idea che fosse in grado di far reagire il paese. Un Berlusconi tramontato, una classe politica compromessa dagli eccessi, una Lega Nord divenuta corporazione, un PD inconsistente,  uniti ad una compagine sindacale antica e testarda, hanno creato lo spazio per un intervento "monarchico" del presidente della Repubblica che ha letteralmente deposto il governo e nominato un "governo tecnico" con l’obiettivo di "fare le riforme".

Senza nessuna elezione, il Governo Monti, ha promesso (agli elettori che non l’hanno eletto), una manovra di rigore (così per mettere tranquilla la signora Merkel), ma ispirata all’equità e alla crescita. Al di là di notare che nonostante Monti e i Supertecnici, lo spread sia ancora a 520 punti base e la Borsa continui a far segnare performance negative, il rigore tedesco del Professore si è sfogato sulle pensioni, sui patrimoni e sulle accise, riservandosi l’opzione di intervenire sull’ IVA qualora non si trovino le risorse necessarie per pareggiare il bilancio del 2013. Ecco come gli effetti di una crisi economico finanziaria globale finiscono con l’impattare sul costo della vita reale. La volontà eterodiretta di voler reperire soldi subito, ha imposto la tassazione di beni primari e di consumi.

Perché non c’è più tempo, i mercati chiedono risorse, oggi. Le riforme di rigore, quelle vere, delle burocrazie, dei meccanismi statali, dei Monopoli, dei sistemi concorrenziali e produttivi sono troppo lunghe e disseminate di agguati politici. Per sfidare la crisi ci vuole una classe politica coraggiosa e determinata, che sappia scommettere sul futuro. Altrimenti, il rischio è evidente: rispondere alla recessione a colpi d’inflazione, esattamente la medicina che segnò il destino della Repubblica di Weimar.