Per spiegare l’Italia di oggi Gramsci (per fortuna) non basta
19 Aprile 2009
E’ un fatto che PDL e PD sono entrambe, per quanto con tradizioni e di età diverse, formazioni politiche in movimento la cui identità è in corso di definizione: l’una perché fino a tempi recenti non l’ha fatto in modo esplicito, l’altra perché una volta perduta una sua definizione comunista, e passata a una identità prima socialdemocratica e poi progressista nel senso americano del termine, si trova ora a essere una formazione che unisce questo bagaglio ideologico sempre più depurato dal riferimento a fini rivoluzionari e obiettivi socialisti con quello del cattolicesimo sociale. La definizione in positivo nel corso di questi anni è andata di pari passo con il riesame della memoria storica del Paese, delle fondamenta sulle quali si basa l’Italia repubblicana, da una parte e dall’altra. Inevitabile che fosse così, dal momento che la sinistra ha fin dall’inizio fatta sua la tesi di una Repubblica nata dalla lotta al fascismo e dalla guerra partigiana e dal momento che se il PDL voleva darsi un volto significativo era su quelle fondamenta che doveva lavorare criticamente. Molti sono stati i passi fatti a sinistra sulla via di uno svecchiamento, di un esame critico di quelle basi fondative: il primo e il maggiore resta probailmente la ricerca sulla Resistenza di Claudio Pavone Una guerra civile uscito nel 1991.
In questo percorso che talvolta sembra non lasciare in piedi niente di ciò che esisteva a sinistra e limitarsi a erodere senza ricostruire, il pamphlet di Aldo Schiavone L’Italia contesa si propone come la ricerca di contenuti nuovi ma finisce per essere il tentativo di restaurare contenuti che via via sono stati prima discussi, rivisti, abbandonati. Non si tratta di un ritorno generico al marxismo (richiamato in negativo per la sua distinzione fra libertà formale e libertà sostanziale), ma di quella particolarissima versione del marxismo e di quella interpretazione dell’identità italiana fornita da Antonio Gramsci e adottata a lungo dal PCI e dagli intellettuali comunisti.
Quando la politica incalza, non è sempre la pacatezza l’atteggiamento che caratterizza le riflessioni sulla Repubblica e sulla sua storia, soprattutto quando sembra che una crisi di sistema sia alle porte dell’Occidente, insieme alla crisi economica. La lettura di Schiavone intreccia quello che è stato definito il “paradigma antifascista” – l’antifascismo come base fondativa della Repubblica -, riaffermato contro ogni critica e ogni ipotesi interpretativa men che devota, con l’immagine del presente come fine di un tempo più serio, più pensoso e più solido, il vero e proprio tramonto di un ciclo di vita in cui era possibile fare cultura. La nostra epoca è in crisi profonda – questa l’argomentazione del pamphlet – perché manca un ceto politico adeguato alla transizione che stiamo attraversando, perché parole d’ordine automatiche e interessate del pensiero unico liberal-liberista affermatosi dopo il 1989 hanno proposto come facile soluzione a ogni male e ricetta certa di sviluppo il libero mercato, la globalizzazione e le reti della finanza mondiale, perché la società italiana non è migliore di chi la governa, perché la sinistra non ha tenute ferme le sue posizioni e si è arresa a quel pensiero unico.
Schiavone esprime queste tesi rifacendosi a un’idea di Italia che deriva appunto da Gramsci, a partire dal richiamo a un nuovo “principe”: l’Italia come paese della rivoluzione borghese mancata, la definizione del carattere tipico del nostro paese in termini di difetto permanente e inadeguatezza delle sue classi dirigenti, il tema di una unità italiana incompiuta e l’assegnazione di quel compito alla classe politica di oggi. Per Schiavone il carattere di lungo periodo della storia italiana è la sua eterna oscillazione “tra totali rimozioni e altrettanto compulsive incapacità a dimenticare”, e scrive: “La storia d’Italia continua ad apparirci come un percorso dolorosamente incompleto. E’ un tema ben noto. Fra le storie dei grandi Paesi europei, la nostra è insieme la più ricca e complessa, ma anche la più incompiuta: le due cose – molteplicità e incompiutezza – si tengono insieme, come in certi romanzi o in certe musiche. Incompiuta, ancora oggi, nella sempre fragile unità della nazione; incompiuta nella permanente inadeguatezza dello Stato; incompiuta nella labilità del nostro spirito pubblico e delle nostre virtù democratiche e repubblicane.” Le tesi di Gramsci sono riprese alla lettera, e su di esse si intende basare una nuova ideologia forte della sinistra (ri-ideologizzata) capace di contrapporsi a quello che viene visto come lo sfascio attuale: il rapporto necessario fra intellettuali e popolo, l’impegno dell’intellettuale, il blocco sociale come fine a cui tendere.
Sembra di rileggere, alla lettera, tesi che sono state utilizzate per decenni nel dibattito culturale e nella lotta ideologico-politica italiana. Il vuoto di politica e di idee che caratterizza l’Italia d’oggi e che coincide con la seconda Repubblica, il dissolversi di ogni progetto della sinistra e il trionfo di Berlusconi, dipendono secondo Schiavone dalla caduta nell’oblio, dalla rimozione del nostro passato resistenziale e della preclusione antifascista che lo contraddistingueva. Tale caduta nell’oblio è lo storico difetto che segna la nostra identità nazionale, e che aveva provocato a suo tempo il trionfo del fascismo.
Anche chi percepisca con ansia la crisi del presente e talvolta il suo vuoto di idee, anche chi si ponga in modo critico nei confronti del governo attuale del paese, anche chi desideri sottrarsi all’automatismo di alcune parole d’ordine oggi correnti quali “meno Stato più mercato”, difficilmente può trovare aiuto in un atteggiamento intellettuale di questo genere. Se lo adotta, si trova a ripercorrere per l’ennesima volta un modello già molto presente nella nostra storia culturale (e poi ideologico-politica), tanto presente da poter affermare che lo ha caratterizzato in modo forte, e che forse ne rappresenta davvero, meglio di altri, un carattere originale: la definizione dell’identità nazionale del nostro paese grazie a qualcosa che essa non possiede, che non ha saputo sviluppare, a un difetto che l’Italia avrebbe manifestato, a seconda degli autori, a partire dall’Umanesimo o dal Seicento, dall’Unità d’Italia o dal 1989, e la spiegazione dei problemi attuali e della incapacità della classe politica di risolverli in base a quel difetto consustanziale alla italianità in epoca contemporanea. Non è un caso che Schiavome definisca la sua proposta come “nuovo umanesimo”: in questo modo è stato interpretato Gramsci (insieme a Marx) per decenni.
Ecco perché il testo di Schiavone rappresenta un rischio oltre che una tendenza: incarna quella posizione in certo modo “classica”, e comunque ricorrente da noi, che identifica il carattere della storia italiana non con una qualità ma con un difetto storico (qui definito come “blocco ricorrente”), caratterizza il difetto storico come una unificazione nazionale incompiuta (tema gramsciano per eccellenza), specifica quella incompiuta unificazione nazionale con la debolezza dello Stato, fa derivare da questo l’assenza storica di un rapporto fra intellettuali e popolo (tesi gramsciana sulla quale si è poi esercitaro Alberto Asor Rosa da posizioni opposte), afferma che l’unificazione nazionale è da compiere e che o questo compito viene affrontato sul serio oppure l’Italia decadrà, si frantumerà, proseguirà nella disastrosa politica attuale nella quale mancano le idee serie e classe politica adeguata. Per questo, denuncia l’oblio storico e la recisione dei contatti diretti fra la coscienza intellettuale di oggi e la storia fondativa della Repubblica, recisione che da quell’oblio consegue necessariamente, e invita a mantenere viva la memoria su cui la Repubblica si basa.
Ma è di qualche utilità riproporre alla lettera tesi che hanno fatto a sinistra la storia della Repubblica? Anche chi – come chi scrive – tiene molto alla base solida della Repubblica trova difficile riconoscersi in questo appello, e rintraccia invece in esso una costante della nostra storia culturale, un atteggiamento (e forse propriamente un difetto di lunga durata) dell’intellettualità più impegnata a sinistra.
A. Schiavone, L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 90, euro 14.