Perché Berlusconi pensa di “affidare” agli Stati le banche Ue a rischio
20 Febbraio 2009
La proposta di “nazionalizzare” qualche banca, di cui ha parlato Silvio Berlusconi, ufficialmente si riferisce a banche di altri stati europei, in quanto “le nostre sono solide”. Logicamente il premier non può diffondere panico sulle banche italiane. Non sarebbe giusto, in quanto nessuna di loro è impelagata in titoli tossici come le banche di altri stati occidentali, al di qua e al di là dell’Atlantico. Ed inoltre ci sono i Tremonti bond, cui le banche bisognose di consolidare il proprio capitale sociale possono accedere per evitare di scendere sotto il livello dei coefficienti patrimoniali di Basilea o sotto un altro maggior livello, ritenuto consigliabile in questo periodo di elevato rischio. Tuttavia il ragionamento fatto da Berlusconi non sembra riguardare le mere banche in difficoltà. Ha un profilo più ampio.
Si riferisce al problema del credito all’economia che non è stato risolto dai Tremonti Bond e neanche dai salvataggi effettuati dal governo inglese, americano, olandese, belga, francese, spagnolo, irlandese, austriaco e da quelli tedeschi federali e dei laendern con una cura giustificata sia dall’emergenza che dagli evidenti legami fra capitale finanziario e classe politica (quella di sinistra, in particolare, si è sporcata volentieri le dita nel barattolo della marmellata).
Nonostante i copiosi aiuti ricevuti il sistema bancario europeo non dà abbastanza credito alle imprese per i loro investimenti e per il loro capitale di esercizio.
E anche negli stati come l’Italia in cui nel complesso il sistema delle banche non ha problemi di solvibilità, cioè è solido e può consolidarsi mediante i bond pubblici, ci sono grossi rischi di recessione dovuti alla stretta del credito, che viene attuata, nonostante il basso tasso di interesse. Le banche non sono in grado di impegnarsi in finanziamenti al di là di un certo limite, in quanto non lo consentono i loro modesti parametri patrimoniali.
Inoltre ora è sorto un gigantesco problema nell’Est Europa, che nasce da quello che possiamo denominare come "il teorema della coperta troppo corta". Infatti alle banche europee che hanno ricevuto aiuti pubblici è stato chiesto di non ridurre il credito nelle economie degli stati che le hanno aiutate. Ed esse hanno reagito riducendo il denaro che davano all’estero, in specie nei paesi dell’Est Europa, al di fuori dell’area euro, ma facenti parte dell’Unione Europea. E ora le economie della Polonia, dell’Ungheria, della Cechia, della Romania, della Bulgaria sono in grande difficoltà e ciò si ripercuote sulla stessa bontà dei crediti erogati dalle banche europee alle imprese di quegli stati tramite le loro filiali locali. L’economia del nostro Nord Est dipende largamente ad quelle dei paesi dell’Est . E le nostre banche, soprattutto alcune, hanno grossi impegni nell’Est.
In che modo si può risolvere questo nuovo problema, che si aggiunge a quello dello scarso credito alle nostre imprese? Solo mediante nuovi interventi dello stato, che aiutino il mercato a risolvere disfunzioni sorte dalla violazione di elementari regole del mercato del credito. Le banche, comprese quelle italiane, hanno aumentato la redditività del loro patrimonio, con il semplice espediente di ridurre il proprio patrimonio, rispetto agli impieghi. Ma la riduzione del patrimonio rispetto agli impieghi ha ridotto la loro capacità operativa futura. Una gestione saggia dovrebbe guardare al medio e lungo termine non al breve.
I regolatori pubblici internazionali si sono contentati di bassi parametri patrimoniali delle banche, probabilmente perché sono stati catturati dagli interessi dei loro controllati. Grandi e meno grandi banche soprattutto non italiane hanno aumentato la redditività anche con l’espediente di investire in operazioni molto redditizie nell’immediato, ma molto rischiose nel medio e lungo termine. I regolatori pubblici delle banche di quegli stati hanno “lasciato fare". E non hanno segnalato che troppi impieghi stavano per diventare tossici e che i rischi presi dalle grandi banche erano tali da generare colossali insolvenze.
Non sono state rispettate le regole del mercato e chi le doveva concepire e far rispettare, non ha adempiuto a tali compiti. Le banche che hanno sbagliato sono state rimesse in piedi con i soldi del contribuente (per fortuna da noi molto pochi). Ma il credito è scarso perché le banche del mercato sono deboli.
Non so se occorra trasformare qualche banca privata in banca a partecipazione pubblica. Forse qualcuna lo chiederà, anche in Italia, per risolvere i suoi problemi nell’Est dell’Europa. Ma è certo che attualmente si prospetta una funzione di supplenza pubblica nel settore bancario, in concorrenza con le banche private, per ridar vita a un mercato del credito ingessato. E’ a questo che, fondamentalmente, pensa Berlusconi, con l’occhio rivolto all’Europa nel complesso, ma con una occhiatina anche all’Italia.