Perché con la Robin tax il Pd è caduto nel ridicolo

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Perché con la Robin tax il Pd è caduto nel ridicolo

17 Marzo 2009

Dario Franceschini, con la sua trovata da Robin Hood del Pd è caduto nel ridicolo. Dopo avere inventato 4 miliardi di nuove spese per ammortizzatori sociali con un sussidio generale ai disoccupati, che avrebbe come copertura la lotta all’evasione fiscale e l’utilizzo di plusvalenze della Cassa Depositi e Prestiti, adesso ha escogitato una Robin tax “sui ricchi “, consistente in una addizionale all’Irpef, del 2 per cento che dovrebbe dare 0,5 miliardi di euro, che i comuni e le non profit di tutta Italia erogherebbero ai poveri.

Poiché il 2 per cento su coloro che nella dichiarazione dei redditi denunciano oltre 120 mila euro annui dà solo 0,5 miliardi, Franceschini dovrebbe capire che non si tratta di una “tassa sui ricchi”, ma solo su di colletti bianchi pubblici e privati, per una parte dei loro redditi, in quanto gli altri redditi sono tassati con trattenute secche alla sorgente o stanno nelle società di comodo e nei fondi di investimento nei paradisi fiscali.  Con  60 milioni di italiani, 500 milioni  distribuiti pro capite diventano di 8,30 euro per abitante. Posto che i poveri fossero il 5 per cento degli abitanti si tratterebbe di venti volte 8,3 euro per povero, cioè di 166 euro annui per ciascuno: 13 euro al mese, al lordo dei costi di gestione.

Franceschini non ha specificato chi applicherebbe questa addizionale: lo stato, le Regioni o le Province? I “ricchi” tassati si concentrano in alcune grandi città del Nord e a Roma in quanto si tratta dei dirigenti delle amministrazioni pubbliche, delle banche, delle grandi imprese che ivi risiedono. Invece i “poveri” spesso vivono o sopravvivono altrove. Così se l’addizionale fosse delle Regioni o addirittura dei comuni  a cui compete la spesa, ci sarebbe una grande ingiustizia, perché molti comuni di molte regioni non riceverebbero sullo o quasi.

Se lo stato applicasse l’addizionale per darla ai comuni,  con quale criterio lo dovrebbe  fare? Se distribuisse questo mezzo miliardo  ai comuni, in base al loro reddito pro capite presunto, ciò comporterebbe 8 mila 300 euro per i comuni di mille abitanti con un costo amministrativo sproporzionato, trattandosi di oltre 8 mila comuni.  Rivoli di denaro sparpagliati, di improbabile gestione e impossibile controllo.

Dunque il piano di Robin Hood di Franceschini fa fiasco. E lui è reduce da un fiasco ipotetico ancora maggiore. Infatti la copertura dei 4 miliardi di assegni ai disoccupati da lui proposta consisteva nella lotta all’evasione (senza dire con quali strumenti tecnici e verso quali aree di evasione), nel prelievo sul patrimonio della Cassa Depositi e Prestiti che serve per finanziare gli investimenti degli enti locali e nelle opere pubbliche gestite dalle imprese, con la finanza di progetto per darli ai disoccupati. I quali, riducendo il credito all’investimento  aumenterebbero.

La Marcegaglia, presidente della Confindustria chiede “soldi veri”contro la crisi e il Pd annuisce "ma i soldi veri”  per rilanciare la nostra economia non sono quelli del governo, che non si può indebitare oltre un certo limite. Sono nelle famiglie e nelle imprese, nei fondi europei per l’Italia. Si tratta di mobilitarli con un aiuto limitato della finanza pubblica utilizzando stanziamenti per investimenti già a bilancio e con una azione dello stato che riguarda soprattutto il suo compito di regolatore e di garante delle iniziative valide di lungo termine. E ciò viene fatto con ì due grandi piani di investimento del governo, rivolti al sistema di mercato: quello riguardante la casa di Berlusconi consistente nell’aumento delle cubature degli edifici esistenti e nella autocertificazione delle licenze a costruire e quello delle grandi opere. Due piani che non comportano nuovi oneri per il bilancio pubblico, che riguardano investimenti e non consumi, e hanno entrambi una grande valenza sociale.

Emma  Marcegaglia che si trovava a Palermo avrebbe dovuto pronunciarsi per l’immediata operatività del piano grandi opere e quindi del progetto del  Ponte sullo stretto, un investimento di 7 miliardi di euro  basato sulla finanza di progetto delle imprese che comporta solo una quota limitata di spesa pubblica. E avrebbe dovuto accompagnarvi la richiesta di accelerare la Tav da Lione a Torino e da Milano a Trieste e da Milano a Genova  finanziata in gran parte dalle Ferrovie dello stato, e dall’Unione  europea. Ci sono altre opere per il Sud e le Isole che possono essere cofinanziate dai privati, dai fondi dell’Unione europea e dall’operatore pubblico senza nuovi stanziamenti di bilancio. Emma Marcegaglia non ne ha parlato, ma si è pronunciata a favore del  “piano casa”. Berlusconi dà una risposta corretta agli assistenzialismi. Da un lato le grandi opere, gestite dalle grandi imprese e riguardanti le infrastrutture di cui l’Italia ha bisogno finanziate in parte dallo stato, sul suo bilancio, in parte dall’Unione europea, in parte dal credito sulla base dei futuri ricavi dell’investimento. Dall’altro lato le piccole opere di edilizia abitativa gestite dalle piccole e medie imprese assieme alle famiglie, mobilitando il loro risparmio, al fine di ridurre il problema della casa. Questi due grandi canali di rilancio dell’investimento contengono grandi messaggi positivi riguardanti un futuro migliore in un periodo in cui la fiducia nel futuro diminuisce.

Si consideri il Ponte sullo stretto. Tutta la discussione ora verte sul fatto se i pedaggi del traffico che vi passerà, di auto, autocarri, autobus, treni basterà a ripagarlo. Il costo dell’opera per le imprese viene ridotto dal fatto che al termine di 30 anni la società che la costruisce e la gestirà, avrà dallo stato che ne diverrà proprietario un pagamento del 50 per cento del suo costo storico in moneta di costante potere d’acquisto. Ciò comporta che il costo dell’ammortamento si dimezza. Lo stato la ridarà in concessione. Certamente, allora il provento del traffico sarà maggiore, quindi l’impegno futuro dello stato può essere aumentato al 100 per cento del valore di costo dell’opera che esso recupererà con una nuova sua concessione di gestione. Così voce di costo per ammortamento per l’impresa che gestirà il Ponte si annulla. Quindi basterà un utile netto sui costi di esercizio del 3 per cento in termini reali, 210 milioni annui, per rendere l’iniziativa conveniente. Al ricavo andranno anche due contributi pubblici che non implicano un nuovo costo per il bilancio statale: una sovvenzione sostitutiva di quella che verrà meno delle navi traghetto e un’altra sostituiva del contributo alle Ferrovie dello stato per il traghetto dei suoi treni.

Ad Emma Marcegaglia presidente degli industriali, in gran parte del Nord , la problematica del Sud sembra importare poco. Ma a Dario Franceschini segretario del più grande partito di sinistra dovrebbe competere la problematica  economica, sociale di tutta l’Italia. Ha proposto in due settimane, 4,5 miliardi di nuove spese per assegni ai disoccupati, e ai poveri. Ma  la parola “Mezzogiorno”, non la ha mai pronunciata. Gli squilibri regionali, per lui non sono squilibri sociali. Non pensa alle prospettive di sviluppo economico e turistico che si possono creare collegando la Sicilia alla Calabria, in una unica grande regione mediterranea, ai posti di lavoro che si generano in questo modo, agli sviluppi tecnologici che la attuazione di questo progetto può suscitare. E il fatto che il piano anticrisi di Berlusconi, oltre ché per mobilitare il risparmio e il lavoro serva per la casa delle famiglie e ne mobiliti il risparmio per tale scopo, sembra  importargli poco. Eppure la famiglia è la principale unità sociale .E la casa è il centro di questa socialità, fondata sul diritto di proprietà.