Perché con San Giovanni Paolo II vale la pena essere uomini

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Perché con San Giovanni Paolo II vale la pena essere uomini

Perché con San Giovanni Paolo II vale la pena essere uomini

04 Aprile 2020

Tra una visione del corpo e della sessualità porno – style con consumazione facile, in voga ai tempi dei fast – food relazionali, e l’approccio manicheo per cui tutto ciò che deriva della carne andrebbe soffocato e mortificato, esiste una terza via. È quella lasciata in eredità dal Papa santo di cui ieri è ricorso l’anniversario della morte. Si chiama “teologia del corpo”, una vera e propria “bomba teologica a tempo”, a detta del biografo George Weigel, e pilastro di tutto il magistero di Giovanni Paolo II.

Già prima dell’elezione al soglio pontificio, Karol Woityla lavorava a questo progetto, forse anche in risposta alle teorie e alle rivendicazioni della rivoluzione sessuale del ‘68. A queste il Papa evitava di rispondere con un inutile derby carne contro spirito. Ma rilanciava: “il corpo è così buono che dobbiamo ancora comprenderlo in profondità”, un valore non sufficientemente apprezzato sia dal permissivismo contemporaneo sia da una certa severità puritana.

È emblematico come molti cattolici erano scandalizzati per la decisione di Giovanni Paolo II di far rimuovere i drappeggi che coprivano i nudi dipinti nella Cappella Sistina, definita proprio dal papa come “il santuario della teologia del corpo umano” che aiuta a vedere “l’intero mistero personale dell’uomo”. Mistero che sfugge anche a quella cultura che guarda al corpo come un materiale privo di senso. Se il corpo non dice nulla riguardo all’identità della persona e al suo mistero allora può essere manipolato, usato e diventare anche oggetto di possesso.

“Vale la pena di essere uomini!”, amava ripetere Giovanni Paolo II. Non creature angeliche. Non puro spirito. Vale la pena essere uomini a 360 gradi. E l’uomo è tale perché è spirito incarnato. È un’unità fisica e spirituale. Per il fatto stesso che il Verbo si è fatto carne, il cristianesimo non può demonizzare il corpo, ma lo divinizza! Per Woityla “il corpo, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno”.

Il corpo sessuato non è un semplice attributo, ma un dato fondamentale antropologico che qualifica la persona stessa. E, nella forma dei corpi, nel maschile e nel femminile, siamo chiamati ad essere una cosa sola, “una caro”. Il corpo di un uomo e di una donna, da soli, non hanno senso in se stessi. L’uno nella luce dell’altro rivelano l’inconfondibile disegno. Nel dono reciproco del proprio corpo, nello sguardo puro (non puritano!) di chi è capace di contemplare l’altro senza usarlo o considerarlo oggetto di possesso, che si realizza l’eros che dona “non il piacere di un istante, ma una sorta di pregustazione del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine (gioia e felicità) a cui tutto il nostro essere tende”, precisava il Papa emerito in continuità con il suo predecessore.

Forse vale la pena essere uomini, fino in fondo.