Perché fare impresa in Italia è così difficile

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Perché fare impresa in Italia è così difficile

19 Maggio 2020

Secondo la vulgata, Trump rappresenterebbe la parte più brutta d’America, quella oscurantista, quella delle élite finanziarie che divorano l’economia reale, quella dei Tea party e dell’ultradestra razzista, quella degli isolazionisti che mettono i dazi e fanno le guerre commerciali. Pertanto, quando il coronavirus ha colpito gli States non avevo grandi aspettative. E invece l’Amministrazione qualcosa ha fatto, e l’ha fatto subito. Ha varato un piano specifico per garantire la liquidità alle attività produttive. Con qualche modulo e autodichiarazione – in tutto due pagine compilate da uno zelante commercialista – senza dover provare nulla, senza merito creditizio, senza ingarbugliati sentieri bancari; in due settimane circa si ottiene liquidità, direttamente sul conto corrente. Un prestito a tasso agevolato? Un prestito a tasso zero garantito? No. Liquidità. Dollari. Immediatamente disponibili. All’interno di questo piano di particolare rilievo il Paycheck Protection Program, un piano per sostenere i salari: un’iniezione di cash pari a 2,5 mesi del totale dei salari con un tetto di 100 mila dollari a dipendente. Facile, immediato, e con un duplice effetto: tutela del reddito del lavoratore; sollievo economico all’impresa.

Scott Morrison leader del partito liberale e primo ministro Australiano ha reagito immediatamente al coronavirus, approfittando della fortunata coincidenza del ritardo nella diffusione, imponendo un severo lock-down che tutt’oggi perdura, ma che ha permesso al paese di minimizzare il contagio pur mantenendo l’economia sostanzialmente aperta. Anche la coalizione liberale australiana ha pensato all’impresa. Job seeker, ad esempio, è un programma di sostegno all’impresa e all’occupazione.

Soldi veri, per sostenere le retribuzioni. Anche in questo caso si tratta di compilare qualche modulo, qualche carta in più rispetto all’Amministrazione Americana e si intraprende un percorso a step: per marzo una prima tranche liquidata sul conto corrente, su Aprile-Maggio, dimostrando una riduzione di fatturato rispetto all’anno precedente, una seconda tranche, anche più cospicua.E in Europa? Lo Stato francese ha varato un piano di cassa integrazione straordinaria chiamato “sussidio alla disoccupazione” che copre circa il 90% del salario dei lavoratori dipendenti, ma con un dettaglio importante: tale contributo è erogato sulla base livello retributivo reale! In più, per alleviare lo shock di liquidità del breve periodo, il Governo ha attivato un sistema di prestiti bancari garantiti dallo Stato a tassi molto vicini allo zero. Anche in questo caso, soldi veri erogati in qualche settimana senza procedure di merito creditizio, senza dover obbligare le strutture delle imprese a varare piani triennali, che in tempi come questi sono spesso tanto aleatori quanto vuoti. Qualcosa di molto simile è stato realizzato nella bistrattata Spagna. Anche li, il governo a trazione Psoe- Podemos, ha pensato all’impresa.  E in Italia? Cosa è stato fatto per le imprese?Fino ad ora non molto, anzi sembra che sia emerso, proprio durante questa fase drammatica, un atteggiamento di sfiducia o peggio di avversità nei confronti del mondo imprenditoriale.

Le imprese, invece che promotori d’occupazione e sviluppo sociale, sono state declassate a focolai di contagio da fermare ad ogni costo. Si è preferito affidarsi ad una miope tabella di codici ateco, invece che ad un criterio effettivo che distinguesse chi poteva proseguire in sicurezza e chi no. Il coronavirus è stato prontamente classificato come infortunio sul lavoro e gli imprenditori, ritenuti responsabili penalmente per l’eventuale contagio in fabbrica. (Salvo un ripensamento-chiarimento dell’Inail avvenuto solo dopo sollevazione della categoria).Infine, il tanto annunciato piano di liquidità per l’economia è fermo nel balletto tra le garanzie di uno Stato squattrinato e le conseguenti responsabilità bancarie.Una lettura pragmatica del tessuto imprenditoriale del paese, capace di distinguere settori, industrie e territori e individuare le azioni specifiche per ciascuno di essi è stata sostituita dalla solita mentalità dirigista e burocratica che classifica, definisce, regola e infine soffoca.

Così l’impresa italiana conta i giorni, strozzata e abbandonata, navigando a vista nel mare di decisioni e decreti senza visione e senza speranza d’esecuzione.