Perché gli Stati Uniti hanno aderito all’accordo sul clima
18 Dicembre 2007
Come mai alla fine la delegata Usa Paula Dovriansky ha
aderito all’accordo finale della XIII Conferenza internazionale sui cambiamenti
climatici di Bali? E chi è che ci ha rimesso nel relativo compromesso? In
realtà Washington non ha ratificato il Protocollo di Kyoto, secondo il quale
solo i Paesi industrializzati dovevano agire per ridurre le emissioni di gas
serra: i Paesi di nuova industrializzazione, in particolare Cina e India, ne
erano invece esentati in nome dello sviluppo, malgrado siano ormai loro i
principali responsabili dei massicci aumenti degli ultimi anni. Il Protocollo
di Kyoto, in effetti, a Bali è morto. Ci sarà invece un Kyoto 2: così chiamato
anche se sarà firmato a Copenaghen nel 2009, per avere effetto a partire dal
2012. Benché il contenuto dipenda evidentemente dalla Road Map di negoziati in agenda, si sa già che obbligherà tutti.
Cina e India comprese. In cambio, gli Stati Uniti si impegnano a loro volta su
un obiettivo di riduzione del 25-40% entro il 2020: non è scritto
esplicitamente nel documento, ma lo si ricava da una nota a fondo pagina,
rimandante a un preciso Rapporto di scienziati. Una soluzione in apparenza
curiosa: se non altro nel momento in cui
il freddo di questo dicembre nell’Emisfero Boreale sembrerebbe semmai confermare
certe storiche riserve dell’Amministrazione Bush sulla scientificità delle
previsioni a proposito di riscaldamento terrestre.
Ma il problema va ormai oltre l’ecologia, e lo si capisce
dalla nuova Legge Energetica che il Senato statunitense ha approvato giovedì
scorso, con ben 86 voti contro 6. Uno scopo dichiarato di questa normativa è
infatti quello di aumentare l’efficienza energetica delle vetture Usa, passando
dall’attuale standard di 12 Km
per ogni litro di benzina ad almeno 15 Km entro i prossimi 13 anni. Un altro
obiettivo è di aumentare la quota di bioetanolo derivante dall’agricoltura,
aumentandolo fino a sette volte. L’approvazione del documento di Bali è venuta
proprio nell’intervallo tra l’approvazione del Senato e la presentazione alla
Camera dei Rappresentanti, dove pure l’approvazione sembra sicura. E certa è
anche la successiva ratifica del presidente George W. Bush, dopo la storica
scelta di incentivare il carburante di origine agricola, oggetto anche di un
accordo strategico col presidente brasiliano Lula. Questa intesa, si ricorderà,
fu oggetto di un allarme del venezuelano Chávez, che sarebbe condannato a
perdere quella centralità strategica delle proprie riserve, su cui basa tutta
la sua immensa capacità di manovra sia all’interno che all’esterno. E un
effetto imprevisto di questo “allarme”, echeggiato addirittura in vari saggi di
Fidel Castro, fu un’improvvisa mobilitazione anti-etanolo in certi settori di
sinistra e/o ecologisti, che hanno improvvisamente scoperto il rischio per la
sicurezza alimentare mondiale se terre e colture saranno distolte verso la
produzione di energia. Un allarme alimentato da molte ragioni valide, ma che dimentica
a tal punto i tempi recentissimi in cui erano ad esempio Dario Fo e Franca Rame
a fare campagna per sostituire alla benzina l’olio di colza “che non inquina e
dopo il viaggio si può addirittura attingere direttamente dal serbatoio per
friggerci le patatine per il pic-nic”, da far sospettare che in certe campagne
la preoccupazione principale non sia la coerenza, ma l’andare addosso agli
“amerikani” sempre e comunque. Ugualmente, tale allarme dimentica
opportunamente che Chávez ha a sua volta proposto di sviluppare invece il
nucleare, visto che il Venezuela è ricco pure di uranio oltre che di
idrocarburi.
Come che sia, negli impegni di Bali si parla proprio di
portare il consumo di biocarburante al 10% del totale mondiale entro il 2020. Insomma,
c’è l’emergenza ambientale, ma più ancora c’è l’incognita che il ricatto
petrolifero dà in mano a dittatori, demagoghi, Stati canaglia e terroristi. E
c’è dunque l’esigenza fondamentale di smontare questo ricatto. Una decisione
probabilmente altrettanto epocale di quella con cui nel 1914 il Primo Lord
dell’Ammiragliato Winston Churchill diede l’ordine di sostituire il petrolio al
carbone come fonte di rifornimento della Flotta Britannica. Dando così inizio a
un secolo di era del greggio ora destinata a essere sostituita dall’era
dell’etanolo.