Perché ieri s’è scritta una nuova pagina nei rapporti tra Roma e Parigi
25 Febbraio 2009
Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy ieri a Villa Madama hanno dato vita ad un vertice bilaterale che è senza dubbio andato oltre le più rosee aspettative e previsioni di intesa tra Roma e Parigi.
Le affinità ideologiche e politiche tra i due esecutivi di centro-destra sono facilmente individuabili e parlare di stima e simpatia reciproca tra i due leaders significa descrivere un dato di fatto, più che una novità. E’ altrettanto noto quanto il centro-destra italiano abbia guardato con grande interesse alla campagna elettorale di Sarkozy nel periodo 2006-2007, vedendo nel nuovo inquilino dell’Eliseo un moderno leader di centro-destra in grado di unire pragmatismo e attivismo, ma anche rivendicazione di principi identitaria e valoriali. E’ infine più che decennale la stima, mista ad invidia, che i politici italiani (di centro-destra, ma non solo) nutrono nei confronti del sistema semipresidenziale, più volte considerato una possibile soluzione all’infinito dibattito sulla riforma delle nostre istituzioni.
Alla luce di queste profonde e solide affinità il grande successo dell’accordo sul nucleare finisce quasi per passare in secondo piano rispetto al dispiegarsi di una sorta di dottrina Berlusconi-Sarkozy con particolare riferimento alla delicatissima fase di crisi economico-finanziaria e al tentativo di ricostruzione di una nuova governance globale. Senza voler sottostimare la portata di un accordo che entro il 2020 dovrebbe portare alla costruzione di quattro centrali nucleari di nuova generazione sul nostro territorio grazie alla più stretta collaborazione tra Enel ed Edf e senza dimenticare quanto questo accordo debba essere inserito nelle linea di continuità di quello tra Cai ed Air France, dalle parole dei due leaders sono emersi spunti interessanti per poter parlare di un vero e proprio asse Roma-Parigi.
Il punto di partenza è la riflessione francese sull’attuale congiuntura internazionale e la contestuale teoria delle “potenze relative”. All’Eliseo sono convinti che l’elezione di Obama alla Casa Bianca e la contestuale grave crisi economico-finanziaria abbiano aperto una fase di profonda ristrutturazione degli equilibri di potenza mondiali. In questa fase di uscita dal modello post-bipolare secondo Sarkozy e i suoi consiglieri si è concretizzata l’opportunità per aggiornare la politica estera transalpina, innanzitutto partendo da un rinnovato protagonismo francese in Europa e nella Nato. Nell’era delle “potenze relative” l’Europa unita ha una grande chance: può utilizzare il suo capitale di esperienza maturato nei suoi oltre 50 anni di pratica del “concerto tra le nazioni”. Se per affrontare le sfide del XXI secolo occorre cooperare, quale migliore possibilità se non quella di recuperare il know-how maturato dall’Ue? È indispensabile però chiarire su quale concezione di Europa si fonda il ragionamento di Sarkozy ed è precisamente su questo punto che la visione dell’Eliseo si avvicina in maniera accentuata a quello di Silvio Berlusconi. L’intesa Parigi-Roma funziona nel momento in cui si critica un certo immobilismo delle istituzioni di Bruxelles e della sua burocrazia comunitaria e contestualmente si avanza una lettura intergovernativa dell’operato dell’Ue, dove gli Stati nazionali e i leaders che li guidano costituiscono il vero motore dell’iniziativa politica. Gli elogi di Berlusconi all’operato di Sarkozy nel corso del conflitto russo-georgiano e nei primi mesi della crisi finanziaria non sono soltanto l’ennesimo attestato di stima ricevuto dall’inquilino dell’Eliseo per il suo semestre di presidenza Ue, ma devono essere letti come l’adesione ad una certa declinazione di europeismo fatto di attivismo, pragmatismo e rapidità di azione, anticipando e scavalcando le lentezze della macchina burocratica di Bruxelles.
Ma l’Europa è solo uno dei terreni di intesa tra Roma e Parigi. Sarkozy completerà ai primi di aprile il ritorno della Francia nel comando integrato della Nato e da quel momento potrà lavorare a fianco di Berlusconi per la sua riforma, partendo innanzitutto da un punto per Roma imprescindibile: un’attitudine più morbida nei confronti di Mosca, tendenza peraltro già dimostrata al vertice di Bucarest dell’aprile scorso quando le diplomazie italiana e francese si sono mostrate compatte nel rinviare l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Georgia e Ucraina.
Ulteriore sintonia si registra sul versante della crisi economica-finanziaria. Da questo punto di vista è chiara ad entrambi i leaders la necessità di nuove istituzioni in grado di fornire rappresentanza alle potenze emergenti. L’Italia, presidente di turno del G8 e organizzatrice del summit estivo de la Maddalena aveva da tempo messo sul tavolo la necessità di allargare il consesso perlomeno al G5 (Brasile, Cina, India, Messico e Sud Africa) e contemporaneamente Sarkozy, nel settembre 2008, ha lanciato l’idea del G20, poi concretizzatasi nell’appuntamento di Washington del 15 novembre e in quello futuro di Londra del 2 aprile prossimo.
Dunque il “sarkoberlusconismo”, un’espressione fortunata quanto priva di qualsiasi reale significato storico-politico, supera i confini di Francia e Italia e si tramuta in dottrina di politica estera? Senza dubbio in questa fase di trapasso multipolare, nella quale non è ancora chiaro se si andrà davvero verso l’istituzionalizzazione del multilateralismo, Parigi ha avviato una strategia di superamento di alcuni suoi dogmi, che si erano tramutati in sinonimi di immobilismo, primo fra tutti quello della relazione esclusiva ed escludente con Berlino. L’atlantismo di Sarkozy (testimoniato anche dall’apertura di un discreto canale di dialogo con Londra) non significa fine del rapporto privilegiato con Berlino (la recente sintonia sulle ricette per affrontare la crisi e lo storico annuncio che un contingente dell’esercito tedesco si sposterà sul territorio francese hanno certificato il carattere saldo del rapporto), ma implica necessariamente l’avvicinamento con l’esecutivo europeo che nel corso di questi anni ha fatto del filo-atlantismo la sua parola d’ordine in politica estera.
L’accordo sul nucleare è certamente fondamentale per il futuro del nostro Paese, ma il vertice italo-francese è andato oltre. L’impressione è che a Villa Madama si sia deciso di inaugurare, su una comune declinazione di atlantismo ed europeismo, una pagina nuova dei rapporti bilaterali tra Roma e Parigi.