Perché il Pdl ha conquistato il cuore dell’Italia industriale
10 Giugno 2009
La sinistra nelle elezioni europee ha subito, nelle sue diverse componenti, una grave disfatta. Quella italiana ha avuto un crollo di voti di entità intermedia fra quello francese e quello tedesco. Il crollo si è ripetuto nelle elezioni locali, con l’aggravante qualitativa della perdita del controllo di territori che erano roccaforti rosse.
Dei quattro partiti storici che rappresentavano alle urne la sinistra, Pd, ex-neo comunisti, verdi-rossi e radicali, nelle elezioni europee tre partiti non hanno ottenuto alcun seggio non avendo superato la soglia del 4 per cento mentre il PD ha perso sette punti rispetto alle precedenti elezioni ed è distaccato di nove rispetto al PDL, sui rivale nella sfida fra poli. Nelle elezioni provinciali la coalizione fra PDL e Lega (che si continua a chiamare centro destra, ma con lo spostamento di AN verso il centro e il centro sinistra è sempre più una coalizione di centro) su 62 province da rinnovare, snella scorsa legislatura se ne era assicurata solo 9 contro 50 alla sinistra. Il centro destra se ne è assicurato 26 mentre il centro sinistra ne ha ottenute 14 e 22 sono in ballottaggio.
Napoli è già passata a PDL-Lega assieme a Salerno, Avellino, Bari, Barletta. Ma anche Biella, Lecco, Cremona, Lodi, Novara, Piacenza, Alessandria, che sono nel cuore dell’Italia industriale, con forte concentrazione di lavoratori dipendenti. E il PD anziché fare un serio esame di coscienza per capire quale sia la causa del suo insuccesso presso la classe lavoratrice, e come esso possa essere arrestato, prima che il crepuscolo si tramuti nel buio della notte, si dedica alla auto esaltazione sostenendo che con il suo 26 per cento ottenuto alle europee esso ha abbastanza forza per ripartire. Ma ciò è assurdo, in quanto un partito di sinistra che si auto definisce riformista non può non interrogarsi sulle ragioni per cui, in una congiuntura economica difficile che dovrebbe facilitare l’incremento dei partiti di sinistra, sopratutto quando sono all’opposizione. Invece esso ha perso quei sette punti rispetto alle elezioni politiche soprattutto a causa del passaggio di voti delle famiglie dei lavoratori dipendenti a PDL-Lega.
Non basta per il PD affermare che esso ha “arrestato la marcia” del partito guida del centro destra, il PDL, che ha conseguito il 35 per cento e perde 2 punti rispetto alle elezioni politiche. Infatti bisogna anche tenere presente che di punti il PDL ne ha persi 4 nel Sud e solo lo 0,5 nel Centro Nord. Esso si è bloccato da sé a causa dei propri errori e omissioni relative alla politica di investimenti pubblici, in particolare quelli nel Sud, finanziati con il FAS, cioé i fondi cofinanziati dall’Unione europea. La politica di investimenti pubblici in funzione anticongiunturale fa parte integrante della teoria dell’economia sociale di mercato, a cui il Ministri Tremonti si richiama. Il PDL nonostante i limiti della sua politica economica che ho appena indicato, è apparso in grado di interpretare un po’ meglio anche le aspirazioni della classe lavoratrice grazie alla sua politica equilibrata nel campo degli ammortizzatori sociali e alla sua posizione di apertura al sindacato riformista, alla politica tributaria prudente, al modo corretto con cui si è comportato verso le banche e di coloro che hanno bisogno di credito bancario, per scopi seri, alla linea presa nella politica per la casa. E quindi si riafferma come il primo partito in Lombardia e in Veneto, aree a forte sviluppo industriale e diventa il primo partito anche in Liguria, nelle Marche e in Umbria, tre regioni che erano tradizionalmente roccaforte della sinistra, di cui almeno due, cioé Liguria e Marche sono caratterizzate da un forte sviluppo industriale. E ha vinto, assieme alla lega, le elezioni provinciali in province come del Nord e del Sud che ho sopra indicato che, a parte Napoli, città prevalentemente terziaria, sono industriali o con forte presenza di lavoro dipendente dell’agricoltura.
L’incremento dei voti della Lega Nord non si spiega solo con il suo successo nel mondo delle partite IVA. La lega Nord fonda i suoi consensi soprattutto sul tema della sicurezza e sul tema della resistenza alla immigrazione clandestina che è particolarmente sentito nelle aree a maggior sviluppo e tocca da vicino le famiglie dei lavoratori. La perdita di voti del PD non è compensata da un aumento di quelli dei partiti alla sua sinistra che, nelle europee, sono rimasti entrambi a poco più del 3 per cento. La coalizione di movimenti politici che si richiamano, anche nella sigla, al comunismo, nonostante il grosso appoggio della GCIL è rimasta sotto il 4 per cento e non ha potuto mandare nessun suo rappresentante in parlamento.
Analogamente la sinistra verde-rossa che fa una pessima figura, in confronto ai verdi francesi e tedeschi, rispettivamente pervenuti al 16 per cento e al 12 per cento. Ora i verdi italiani stanno riflettendo sul fatto che la collocazione a sinistra del loro movimento, agli occhi dell’elettorato, non è un plus ma un minus a differenza che nel passato.
Quanto ai radicali, che nelle elezioni politiche hanno corso assieme al PD, essi sono rimasti al 2,4 per cento. Anche essi non sono più in grado di svolgere la loro funzione storica di stimolo al riformismo sociale e liberale.
Il fatto che un partito populista di protesta come l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro abbia raccolto alle europee l’8 per cento dei voti, quasi raddoppiando i suoi consensi, sottolinea a contrariis il fallimento delle sinistre ideologiche, con radici in nobili storie del novecento, che invece hanno rinculato in disordine. Ad aggravare il destino del Pd e degli ex-neo comunisti c’è la analoga disfatta dei partiti di riferimento a livello europeo. Con l’eccezione del Psoe di Zapatero, che pur arretrando mantiene un bel 38,4 per cento contro i popolari al 42,3 per cento, i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti in Europa subiscono dure sconfitte.
Infatti in Francia i socialisti sono scesi al 16,6 per cento mentre in Germania la SPD, cioè i socialdemocratici che sono la guida di Schroeder, avevano iniziato una stagione di modernizzazione riformista che aveva delineato per loro un solido futuro sono caduti al 20,8 per cento. I laburisti di Gordon Brown, che mediante la cosiddetta “terza via” iniziata con successo da Tony Blair che avrebbe dovuto rappresentare una alternativa liberal socialista di modello europeo , sono precipitati al 15, 3 per cento. In questo contesto il compito della sinistra riformista italiana è molto difficile: non può più inserirsi in un contesto europeo di sinistre riformiste in ascesa. Né il fatto di essersi differenziata nel nome e nella appartenenza dai partiti socialisti e laburisti le è di aiuto in quanto in Europa è completamente isolata. Quanto alla sinistra estrema, anche essa in Europa è in forte declino e quindi farà molta fatica a risollevarsi. D’altra parte fra di essa e i partiti della sinistra moderata si è creato un solco difficilmente colmabile. La CGIL si troverà in un grande imbarazzo dovendo fiancheggiare simultaneamente il PD che ripudia persino la denominazione di socialista e la coalizione di partiti che ostentano nella propria sigla la parola “comunista”.
Il crollo delle due sinistre, la riformatrice e quella “pura e dura”, non è casuale. Infatti le misure tradizionali delle sinistre per combattere la crisi appaiono armi spuntate o controproducenti. Il dirigismo, attuato nei singoli paesi allo scopo di difendere l’occupazione nazionale, genera gravi distorsioni nella concorrenza senza risolvere i problemiì, anzi aggravandoli in quanto dà luogo alla segmentazione del mercato europeo.
I rimedi keynesiani consistenti nel generico aumento della domanda globale generano un aumento del debito pubblico di ciascuno degli stati membri dell’Unione rendendo più difficile il finanziamento delle imprese e suscitano il timore di futuri aggravi fiscali. Così le stesse spese per i sussidi alla disoccupazione e gli altri ammortizzatori sociali non possono essere ampliate oltre un certo limite. E riceve più consensi il centro destra europeo che li ha gestiti e li sta gestendo con saggezza.
Le statizzazioni, uno dei classici strumenti delle sinistre storiche, questa volta sono state invocate dalle banche in difficoltà che avevano effettuato operazioni sconsiderate, attratte dal guadagno di breve periodo. E’ difficile qualificare come operazioni di sinistra questi salvataggi fatti con i denari del contribuente. D’altra parte, di fronte alla crisi, nel movimento sindacale riformista si è sviluppata una tendenza crescente a cercare soluzioni a livello di singola azienda anziché a livello centralizzato. La contrattazione e la concertazione di carattere nazionale sostenuta dal PD si sono rivelate inadatte alla varietà delle situazioni. Migliore, invece, appare la ricetta del PDL basata sul decentramento.
Concludendo: la sinistra riformista e quella di contestazione non sono in grado di formulare una convincente politica alternativa a quelle dei moderati. I lavoratori delle imprese se ne sono resi conto e se ne stanno disaffezionando. E quel che è accaduto per le elezioni europee emerge ora anche con le elezioni locali.