
Perché la legge Zan è contro il governo Draghi (di G.Quagliariello)

09 Maggio 2021
L’agenda, per chi fa politica, è un po’ come i parenti: non te la scegli. Se si potesse, questo articolo lo ricuserei. Mi sembra assurdo che in questo momento al centro del dibattito vi sia il disegno di legge Zan e in particolare alcuni degli argomenti che esso investe. Non solo per il discutibile tempismo con la situazione che il Paese sta attraversando, e non certo per l’irrilevanza della materia. Direi, piuttosto, per la troppa rilevanza.
Fra le pieghe di quel testo infatti, al netto di talune narrazioni semplicistiche, vi sono temi che con ogni probabilità segneranno il dibattito politico-culturale del secolo: il rapporto con l’origine, i confini tra diritto e desiderio, la dipendenza dell’identità sessuale dalla natura ovvero dalla cultura, i precetti che dovrebbero informare una buona educazione.
Siamo ancora in emergenza. Abbiamo formato un governo di unità nazionale per affrontarla. E’ il momento di affrontare una discussione su questi terreni? Si tratta di una priorità assoluta? Veramente non si può attendere?
Prescindiamo da ogni polemica. Non è il momento di accenderle, anche perché la trasversalità del dibattito suscitato dal ddl Zan si è già incaricata di dimostrare quanto esso sia distante dalla logica “illuminati vs oscurantisti” alla quale lo si vorrebbe relegare. E prescindiamo anche dalle considerazioni di tecnica legislativa: sul punto, lasciatemi soltanto dire che il testo è scritto malissimo (si arriva ad affermare che sono leciti comportamenti legittimi, cfr. art 5). Fermiamoci invece a considerazioni metodologiche.
Chi non crede al pensiero unico ritiene legittimo, persino lecito il pluralismo culturale. In tema di opinioni, dunque, è lecito che vi sia chi ritiene di doverle limitare; chi non si scandalizza che la legislazione del XXI secolo riproponga l’impianto del tanto famigerato “codice Rocco”: un monumento della nostra legislazione che può essere persino recepito (e adattato a nuove circostanze) da una cultura democratica ma non da una cultura liberale. Per la stessa ragione, però, dovrebbe anche essere lecito che da liberali la si pensi in modo differente: che le opinioni possano essere perseguite solo nel caso in cui istighino alla violenza e all’odio; e che negli altri casi, anche se urticanti, antipatiche, inopportune, debbano essere tollerate. Dovrebbe essere lecito, perciò, che sullo scenario politico qualcuno si preoccupi dell’impianto normativo della legge Zan, che in tema di opinioni si rifà, diciamo così, più a Rocco che a Voltaire.
In una società pluralistica dovrebbe essere normale che vi sia chi ritenga che, in ambito sessuale, la consapevolezza della propria origine possa non essere un limite alla propria libera scelta e che se invece si postula l’origine come un dato fluido, privo di senso, del tutto “liquido” e opinabile, derivante soltanto dalla propria auto-percezione del momento, quella stessa libera scelta finisca per svalutarsi e perdere significato. E dovrebbe non sfuggire che legittimando la fluidità del dato identitario sessuale, ancorandolo esclusivamente all’auto-percezione, si rischia di rendere di contro illegittimi molti dei diritti conquistati negli anni dalle donne, dagli omosessuali, dai transessuali. Quei diritti si legano a un dato oggettivo di partenza e a una scelta consapevole; se vengono degradati a momenti transitori, perdono la ragione che li hanno generati.
Questi convincimenti non sono certo Vangelo ma meritano considerazione. Non possono essere declassati a manifestazioni di oscurantismo retrogrado. Al contrario: essi discendono da una grande considerazione per la tradizione ma hanno una evidente proiezione verso il futuro perché si preoccupano delle generazioni che ci seguiranno e della qualità delle loro libertà.
Se si ammette questo assunto, non sembrerà un atto ostruzionistico – e tantomeno insensato – il tentativo di estrapolare dalla legge Zan quel contrasto a ogni forma di violenza che è realmente condivisibile al di là dei riferimenti culturali di fondo e, proprio per questo, non in contraddizione con un governo di unità nazionale resosi necessario per una emergenza eccezionale e senza precedenti nella storia repubblicana. E’ quanto si è provato a fare con il ddl Ronzulli-Salvini-Binetti-Quagliariello.
Ciò significa forse rifiutarsi di affrontare gli altri nodi, quelli che dividono? No. Significa non volerli affrontare in questo momento perché appare paradossale che, mentre si continua a chiedere sacrifici ai nostri connazionali, il Parlamento si divida in una competizione all’ultimo voto su temi così fondamentali ma così distanti dalla quotidianità che la pandemia ci ha imposto.
A meno che lo scopo non sia proprio questo: tentare in ogni modo di spaccare un’unità avvertita da alcuni come intollerabile, per provare a superare, se non l’emergenza, almeno l’attuale composizione del governo Draghi.