Perché la sinistra continua a perdere consenso?

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Perché la sinistra continua a perdere consenso?

Perché la sinistra continua a perdere consenso?

04 Novembre 2019

Perché la sinistra continua a perdere consenso?

E’ questa la domanda di fondo che ci si dovrebbe porre da parte di tutti non soltanto in un salubre clima democratico di confronto e di onestà intellettuale, ma anche e soprattutto di analisi non ideologica, ma ragionevole e razionale.

La sinistra italiana, ormai costituita come una vera e propria frastagliatissima galassia di formazioni partitiche medio-piccole che oscillano dalla più vetusta ortodossia vetero-marxista come “Potere al popolo”, alle schiere di un socialismo post-illuministico come quello rappresentato dal “Movimento 5 stelle”, fino alla rumorosa brigata di un social-liberismo tipico delle truppe cammellate di Renzi che restano dormienti nel “PD”, in stato di coma vigile in “FI” e in perenne stato di mobilitazione in “Italia Viva”, a cui aggiungere le forze post-comuniste e giustizialiste di “Leu”, dovrebbe intercettare una amplissima fascia del consenso elettorale data la poliedrica offerta rappresentativa che garantisce.

Eppur così non è: come mai?

Le spiegazioni potrebbero essere, senza dubbio, molteplici, ma su tutte, tre almeno sembrano le principali.

In primo luogo: il dato storico conferma che essendosi proposto il socialismo quale nuova religione secolarizzata, con una propria escatologia in virtù della proclamazione della liberazione della servitù dell’uomo sull’uomo, si è ben presto inesorabilmente scisso in tante “chiese” ciascuna rivendicante per sé l’ortodossia di questo nuovo messianismo secolarizzato; ecco quindi la distinzione tra socialisti utopisti e socialisti scientifici, poi quella tra socialisti democratici e socialisti reali, quindi quella tra menscevichi e bolscevichi, e così via.

Mettendo in discussione l’esistenza di una verità universale e fondativa, al fine di abbattere l’ordine sociale, morale, politico e giuridico esistente, il socialismo ha necessariamente sposato la metodologia del relativismo assoluto, il quale ha costituito la premessa logica necessaria per la suddetta inevitabile frammentazione che a sua volta rappresenta il peccato originale irredimibile delle forze socialiste le quali ancora oggi, infatti, alla sua legge soggiacciono più o meno inconsapevolmente.

Questo però, in un modo o nell’altro, ha disorientato – come avviene in tutte le lotte di religione in cui le differenti “chiese” si scomunicano reciprocamente – l’elettorato che disperdendosi in decine di rivoli non riesce a trovare adeguata rappresentanza per i propri bisogni socio-economici e che, quindi, o si inscrive all’interno della rigidità di una delle molteplici correnti esistenti nella galassia della sinistra o si disaffeziona cercando altrove nell’offerta politica la risposta più adeguata alle proprie esigenze.

In secondo luogo: la caduta del muro di Berlino, di cui in questi giorni ricorre il trentennale, ha sancito, in modo storicamente inequivocabile, il fallimento del modello socio-economico socialista a favore di quello occidentale basato sulla coesistenza del libero mercato – almeno prima che la globalizzazione (peraltro paradossalmente favorita dalle stesse forze socialiste che infatti oggi avversano il cosiddetto “sovranismo”) lo facesse esasperare in mercatismo – e dello Stato di diritto.

Le forze socialiste, rinnovandosi, alla luce dell’implosione del blocco sovietico, come forze neo-liberali, hanno intrapreso una strada di erosione della propria identità che, come dimostra il renzismo in Italia, ha dovuto necessariamente reinventarsi cercando di tenere insieme forze inconciliabili come le pretese liberali e quelle socialiste.

Da qui si comprende l’enorme e instancabile lena per l’affermazione dei nuovi “diritti civili” a discapito dei vecchi “diritti sociali”, dimenticando, tuttavia, che la maggioranza dell’elettorato necessita della tutela dei secondi, mentre i primi sono soltanto la legittimazione formale di richieste di piccoli, ma influenti gruppi che come tali riescono nell’opera di lobbizzazione di alcune forze parlamentari, senza per questo riuscire a rappresentare gli effettivi e ben diversi bisogni della maggioranza della popolazione.

In terzo luogo: nell’opera di reinvenzione che le forze socialiste italiane hanno dovuto compiere, si deve includere la più rocambolesca di tutte, cioè il passaggio dall’adesione al Patto di Varsavia all’adesione all’Unione Europea che storicamente si era costituita e affermata proprio in opposizione al blocco sovietico.

Ma non è stato sufficiente, poiché una simile giravolta non si è limitata a questo, ma si è spinta fino alla difesa dell’eurocentrismo – intendendo con ciò la centralizzazione dell’azione politica nazionale e comunitaria esclusivamente sulla questione monetaria dell’euro da fondare prima e diffondere poi – a discapito dell’europeismo – intendendo con ciò la comune matrice culturale dei diversi Paesi componenti l’UE –, e, quindi, contribuendo a segnare quella profonda cesura tra l’elettorato e le istituzioni comunitarie che oggi è sotto gli occhi di tutti.

Alla luce di questi tre fattori non soltanto la sinistra non riesce ad intercettare il consenso popolare che, vivendo sulla propria pelle l’esperienza eurocentrista come il peso di una tirannia, invoca una maggiore sovranità giuridica, politica ed economica rivolgendosi a forze partitiche che come la Lega proprio questo promettono, ma da un lato si rifiuta di effettuare quella necessaria autocritica che le consentirebbe di fuoriuscire dalla attuale stagnazione elettorale e dall’altro lato invoca proprio una maggiore adesione a quell’eurocentrismo che la popolazione con il tempo ha imparato a detestare.

Ulteriori riflessioni potrebbero compiersi sul tema, ma già queste sono la più evidente dimostrazione di come l’impopolarismo non costituisce la migliore strategia politica e culturale per fronteggiare il populismo, poiché, del resto, come già sapeva l’antica saggezza popolare, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.