Perché Lufthansa non risponde alle telefonate italiane
08 Gennaio 2009
A Von-Gablenz-Strasse 2-6 50679 Cologne 21, sede della Lufthansa, se giungono chiamate da autorità italiane del trasporto aereo (o da annessi e connessi relativi al settore) il centralino ha l’istruzione di rispondere che “Herr Doktor” o “Frau..” è fuori ufficio e sarà irraggiungibile per alcuni giorni. Quindi, “il colpo di scena” ipotizzato su L’Occidentale del 2 gennaio, come possibile – in una vicenda contrassegnata già da tanti eventi improvvisi – ma non come probabile, non ci sarà. Per quali ragioni? A Von-Gablenz-Strasse lo illustrano, off –the-record e unicamente for background briefing, in questo modo:
In primo luogo, la strategia della compagnia aerea tedesca è stata d’acquisizione al 100% ,ed integrazione (con, quindi, controllo completo), delle imprese di navigazione aerea di volta in volta comprate, non di partecipazione al capitale in aziende dove altri hanno voce in capitolo. In una prima fase, Lufthansa ha mostrato interesse per quel-che-resta di Alitalia. Quando, però, ha compreso che ne avrebbe potuto ottenere unicamente una quota (con tante grane), ha preferito dare vita a Lufthansa-Italia con una propria base a Malpensa che portare acqua ad un’intrapresa dai contorni ancora incerti ed, in ogni caso, non controllabile.
In secondo caso, ove ci fosse stato un corteggiamento effettivo (e bilaterale, considerato che a Von-Gablenz-Strasse non si cela che ci sono stati molteplici contatti da parte d’italiani di varie sorte e tipi, da politici a sindacalisti, da sedicenti portavoce informali della Cai e mediatori più o meno autorizzati), la litigiosità sindacale avrebbe fatto scappare management ed azionisti della Lufthansa abituati si alla “co-determinazione” dell’ "economia sociale di mercato” ma non – affermano – a frequentare “St.Pauli” (il noto quartiere dei bordelli di Amburgo). Pure il flebile partito pro-italiano all’interno di Lufthansa è saltato dalla sedia alla lettura, la sera del 7 gennaio, di comunicati sindacali minaccianti per il 13 gennaio “disordini tali da causare problemi d’ordine pubblico”. Al di là delle Alpi e del Reno, tale minaccia rappresenterebbe un reato d’istigazione tale da comportare la custodia preliminare di chi lo commette.
Quindi, ha pienamente ragione Silvio Berlusconi nel dire che i tedeschi “non si sono fatti avanti”. Se altre testate non si sono presi la briga di spiegare perché, L’Occidentale ha giudicato opportuno andare a capirne di più con contatti diretti a Von-Gablenz-Strasse. Il quadro è ormai chiaro: senza Lutfhansa, con British Airways flemmaticamente distinta e distante della nostre beghe e con Aeroflot ormai non più interessata ad un’aviolinea d’alta moda, AirFrance-Klm è l’unico partner possibile, sempre che non venga messo in fuga dalle ultime proteste sindacali (indicatore di una conflittualità nel pieno segno della continuità di una tradizione che ha contribuito non poco al disastro di Alitalia).
AirFrance-Klm, allo stato delle cose, pare acquisisca il controllo della nuova Alitalia nel gennaio 2009 ad un costo inferiore a quello che era disposta a pagare nell’aprile 2008 la vecchia Alitalia con tutti i suoi debiti. Lo scorso aprile furono i sindacati a fare saltare l’intesa nonostante fosse chiaro – e L’Occidentale lo ha scritto – che le tattiche negoziali dirette a rilanciare (e concludere) a cui sono usi i nostri sindacalisti , poco funzionano al di là dei confini italiani. Con Spinetta era “prendere o lasciare” – era stato detto chiaramente ed in tutte le lingue. Oggi è difficile valutare l’eventuale accordo sino a quando non se ne conoscono i termini. Come già rilevato su L’Occidentale, l’accordo potrebbe saltare, oltre che per il disordine sindacale, anche per aspetti strategici: gli altri soci potrebbero non gradire la richiesta franco-olandese di diventare gli azionisti più importanti oppure non si riuscirebbe a formare un patto parasociale tra i soci “italiani” (in funzione di controllo e di contenimento dei franco-olandesi), o tra un gruppo nutrito di loro. Potrebbe non raggiungersi per mere “technicalities” sta nei dettagli”.
A differenza, però, di quanto delineato il 2 gennaio, dopo le ultime vicende, è certo che non si aprirebbe nessuna partita con Lutfhansa (oppure con British Airways). Tranne nell’ipotesi in cui la nuova Alitalia, constato di non avere altre prospettive che quelle di una piccola aerolinea nazionale od al più regionale, non decisa di offrirsi “in toto” ai tedeschi (a prezzo di saldo). Le implicazioni occupazionali sarebbero l’ulteriore perdita di almeno 3000 posti di lavoro nell’area di Roma, senza nessun guadagno apprezzabile, almeno nel breve periodo, in quella di Malpensa: a Von-Gablenz-Strasse si sottolinea che questa ipotesi – definita comunque “fantasiosa”- deve tener conto che c’è già Lufthansa Italia operativa, funzionante e pure bella con la quale ciò-che-resta-dell’Alitalia dovrà integrarsi in posizione secondaria e subalterna.
Una chiosa finale. Quella di Alitalia è senza alcun dubbio una “delayed privatization”, “una privatizzazione ritardata”, che si sarebbe dovuta iniziare e portare a termine almeno tre lustri prima della sua conclusione. Un’analisi del servizio studi della Banca d’Italia passa in rassegna, con una strumentazione statistica avanzata, le denazionalizzazioni in 21 Paesi ad alto reddito medio di grandi dimensioni nel periodo 1977-2002: la frammentazione politica – conclude – ostacola le decisioni relative alle privatizzazioni, specialmente quando si hanno Governi di coalizioni , composti da numerosi partiti, e sistemi elettorali proporzionali. La vicenda Alitalia conferma questo risultato; per renderla possibile, da un lato, la compagnia doveva essere boccheggiante e , dall’altro, il sistema politico semplificato per uscire dalla logica dei veti incrociati. Questa è una riflessione è molto più pertinente, al fine delle altre privatizzazioni da realizzare in Italia, che vagheggiare scenari controfattuali su “cosa sarebbe potuto avvenire se …..”. Un campo in cui è meglio rivolgersi ai medium ed agli astrologi che agli economisti. Chiedetelo a Romano Prodi, professore emerito di economia industriale, ma esperto pure di queste altre materie.