Perché non pensare alla flat tax per le aree terremotate?
30 Aprile 2009
Non tutto il male viene per nuocere, dice un antico proverbio, e anche il terremoto che ha sconvolto drammaticamente l’Abruzzo potrebbe costituire una straordinaria opportunità per realizzare innovazioni che, in tempi ordinari, non si riescono a portare a termine per le inevitabili resistenze o per le semplici inerzie – lo faremo più avanti – che caratterizzano l’agire politico.
E’ questo, quindi, il momento più adatto per proporre e discutere di iniziative innovative, eterodosse e dirompenti. Qui di seguito se ne presentano tre su cui sarebbe interessante ascoltare il parere dei lettori dell’Occidentale.
Una prima iniziativa che merita di essere discussa è stata formulata nei giorni scorsi da Alessandro Carpinella proprio su L’Occidentale. Egli ha molto opportunamente proposto di mobilitare parte dell’ingentissimo patrimonio in mano al settore pubblico per reperire risorse da destinare alla ricostruzione. Da tempo in Italia illustri opinionisti – per tutti il prof. Guarino – propongono di liquidare l’ampio attivo dello Stato e degli Enti territoriali per abbattere il debito pubblico. Le proposte avanzate da Carpinella hanno il pregio di circoscrivere l’intervento su una parte degli attivi del settore pubblico e di calare le proposta nel contesto della ricostruzione di immobili nelle zone terremotate.
Una seconda proposta innovativa che merita di essere discussa è stata avanzata su Il Giornale del 29 aprile da Livio Caputo. Egli muove dalla constatazione che la scarsezza di manodopera per l’attività edile rischia di rallentare o rendere più complessa la ricostruzione. Il problema non è da poco e rischia di aggravare una già costosa attività di ricostruzione con una classica strozzatura dell’offerta. La sua proposta quindi è di facilitare la regolarizzazione di clandestini che abbiano le competenze necessarie per questo tipo di attività, disposti a lavorare in Abruzzo, contribuendo in questa maniera a fare emergere lavoro nero.
Una terza proposta innovativa – e inimmaginabile in tempi ordinari – si inscrive nel filone dei benefici fiscali per le zone terremotate che Tremonti intenderebbe richiedere alla Commissione europea. Invece che limitarsi a petire l’autorizzazione a realizzare aree di esenzione fiscale perché non azzardare l’adozione del meccanismo della Flat tax nelle aree terremotate? Sinteticamente il sistema della Flat tax dovrebbe essere così configurato: le imprese pagano le tasse sul reddito generato (quindi ricavi meno investimenti e costi di produzione), escludendo i redditi da lavoro. I redditi da lavoro sono tassati individualmente con una aliquota unica, eguale a quella pagata dalle imprese. L’aliquota potrà essere fissata a livello ritenuto più opportuno per agevolare l’attività economica nella zona. E’ inoltre prevista la completa esenzione per gli individui sotto a un certo reddito (No tax area) per accrescere la componente di agevolazione e per mantenere un principio di progressività fiscale.
Il pregio principale della Flat tax è che, sottraendo gli investimenti dal calcolo della base imponibile, essa costituisce un’imposizione solo sul consumo e di conseguenza incentiva la accumulazione del capitale, proprio ciò di cui hanno più bisogno le aree terremotate. Inoltre, essa richiede adempimenti amministrativi molto semplici, sia per chi deve pagare, sia per chi deve verificare e incassare; un pregio non indifferente per i contribuenti e le pubbliche amministrazioni delle zone colpite dal sisma.