Perché solo la Chiesa parla di questione demografica?

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Perché solo la Chiesa parla di questione demografica?

26 Maggio 2010

Se non ci fosse la Chiesa cattolica a riportarla ciclicamente all’attenzione, sarebbe quasi completamente rimossa dal dibattito politico e culturale (culturale, ahimé, ancor più che politico) quella che è in realtà LA questione decisiva per il futuro della società, della cultura e dell’economia italiana: la questione demografica. Connessa a filo doppio a tutti i temi di dibattito riguardanti l’origine, il fine e la manipolazione della vita umana (dei quali non a caso da più parti si tende a sbarazzarsi declassandoli a problemi di scelta “soggettiva” individuale) essa ne rappresenta la sintesi e l’esito finale: un esito che sempre più minaccia di essere disastroso per l’Europa tutta, ma in particolare per il nostro paese.

Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate dava al tema il grande rilievo che esso merita, ricordando che nessuno sviluppo economico solido e durevole è possibile in una società senza un generale investimento nella vita umana. E pochi giorni fa, il 24 maggio, il presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco ha usato in proposito toni molto forti, ricordando che l’Italia si avvia, nell’indifferenza generale, verso un “lento suicidio demografico”.

In realtà, la situazione italiana in materia non può che provocare angoscia in chiunque non sia rimasto ancorato a frusti luoghi comuni ideologici malthusiani e neopositivisti da “Club di Roma”, fondati sull’idea, dimostratasi nella pratica inconfutabilmente falsa (si veda ad esempio la grande crescita dei popolosissimi grandi paesi asiatici, e viceversa la stagnazione della depopolata Europa), che il grande problema dell’economia mondiale sia la sovrappopolazione e che lo sviluppo vada di pari passo con il controllo delle nascite.

All’incirca dalla metà degli anni Settanta – non casualmente da quando nella cultura italiana diffusa hanno saldamente attecchito i miti dell’individualismo edonistico e della “rivoluzione” sessuale, con la diffusione della contraccezione e la legalizzazione del divorzio e dell’aborto – il tasso di fertilità è andato letteralmente a picco, fino ad attestarsi oggi su un plumbeo 1,4 per ogni donna; mentre gli aborti rappresentano circa un quinto dei bambini nati ogni anno. In parole povere, significa che a questo ritmo nel giro di due generazioni la popolazione italiana – cioè la società italiana, la cultura italiana, persino la lingua italiana – si saranno praticamente dimezzati, con la prospettiva di un circolo vizioso ulteriormente negativo nelle successive.

Questa è la nuda e cruda realtà, al di là di eufemismi e infingimenti. In tutto il paese, sempre più tristemente unito sotto questo aspetto, le scuole si vanno man mano svuotando. Nel tempo sempre più si andranno riducendo l’offerta di mano d’opera e l’iniziativa economica, mentre in egual misura aumenterà la percentuale di pensionati da mantenere. Si profila una società sempre più gravata di costi di assistenza e previdenza insostenibili. Stanca, impaurita e sfiduciata, composta di persone sempre più anziane, con sempre meno idee, voglia di inventare, coraggio, capacità di sacrificio e volontà di investire energie in grandi progetti di vita. I sempre più rari figli, spesso cresciuti in famiglie sfasciate e lacerate, circondati dai sensi di colpa, dalle paure e dalle cure asfissianti dei genitori, sono destinati da adulti a divenire persone via via più fragili, meno confidenti nelle proprie capacità, meno disponibili a rendersi autonomi e a rischiare in proprio, più portati a dilapidare le loro risorse in gratificazioni momentanee, anziché a tirare la cinghia per portare avanti una famiglia e tramandare una fiducia nel futuro che non hanno più.

Chi oggi, nonostante tutta la cultura dominante inciti allo sperpero di sé e a vivere soltanto per il presente, si “ostina” ancora ad investire le proprie energie nella famiglia e nei figli viene scoraggiato e punito in ogni modo: dal punto di vista fiscale, sanitario, assistenziale, scolastico.

Nelle discussioni attuali sulla crisi economica italiana nel contesto globale sembra che di tutto si parli, fuorché di questa prospettiva tristemente realistica, e delle proposte per cercare fin che è possibile di scongiurarla. In altri paesi occidentali industrializzati, dove comunque la tendenza alla denatalizzazione appare meno catastrofica che del nostro, per lo meno il problema è stato posto e qualche accenno di politica a favore delle famiglie è stato impostato: sebbene pur sempre inadeguato al “buco nero” che rischia di inghiottire l’intero Occidente.

In Italia invece, per lo più, quando il discorso cade sul tema si rendono da ogni parte omaggi formali alla necessità di intervenire, per poi dimenticarsene immediatamente quando si parla in concreto di provvedimenti di politica economica e di welfare. Nell’area di centro-destra, salvo lodevoli eccezioni, si tende a porre l’accento soprattutto sul tema della pressione fiscale in generale (salvo poi ritenere che non ci siano i margini per ridurla a causa dal deficit) o degli incentivi alla produzione e alla crescita, trascurando di considerare nella dovuta importanza il fatto che sempre più tende a mancare la base umana, biologica e psicologica della crescita stessa. A sinistra, generalmente si liquida il tema sostenendo sconsideratamente che la panacea alla decrescita demografica verrà dall’immigrazione. Senza tener presente che, ammesso pure che gli immigrati in avvenire riempiano tutti i vuoti della popolazione “autoctona” (e tutto lascia intendere che la tendenza non sia questa, visto che la richiesta di cittadinanza italiana da parte di chi ne avrebbe legalmente diritto è molto scarsa), tuttavia in assenza di un baricentro culturale italiano forte, dotato di quella capacità di attrazione ed espansione che solo una società vivace e in crescita può offrire, il territorio italiano non diventerà mai autenticamente la patria dei nuovi arrivati, un fattore di effettiva identità, ma resterà sempre un anonimo luogo di residenza, senza continuità tra passato e futuro.

Se il paese avesse la percezione autentica delle sue priorità politiche, il principale argomento di dibattito politico e di approfondimento sui media sarebbe oggi il modo di evitare questa catastrofe sociale annunciata. Obiettivo forse raggiungibile soltanto drenando massicciamente le pubbliche risorse verso le famiglie già costituite e quelle che si dovrebbero assolutamente incoraggiare a nascere e a stabilizzarsi. Ciò in primo luogo attraverso una profonda revisione fiscale, che passi non soltanto per l’adozione indispensabile del “quoziente familiare” chiesto da tempo a gran voce dalla Chiesa e dalla rete delle associazioni cattoliche, ma anche per una redistribuzione del carico fiscale sui beni di consumo, orientandolo soprattutto ad alleggerire le necessità dei nuclei familiari, e per un potenziamento sensibile delle detrazioni fiscali sugli oneri legati ai figli (baby sitter, scuola, assistenza medica). E, contemporaneamente, attraverso un deciso investimento sulla prevenzione degli aborti, con un monitoraggio a tappeto ed un’assistenza personalizzata nei casi di maternità difficile e a rischio, sul modello dei Centri di aiuto alla vita promossi dalla Chiesa nelle realtà locali: diffondendo il più possibile una percezione sociale positiva e fiduciosa della vita nascente, e attuando finalmente in pieno il dettato della legge 194.

Un complesso di interventi che, se attuati con decisione e costanza, potrebbero forse ancora invertire la tendenza culturale prevalente al rifiuto e alla rinuncia nei confronti dei progetti familiari, e creare i presupposti per “rimettere in moto” la società italiana.