Perchè sul “fine vita” gli ex radicali sono in prima linea
18 Marzo 2009
Con la consueta arguzia, sul Foglio di qualche giorno fa, Giuliano Ferrara si soffermava su un dato politico apparentemente paradossale. Il dibattito sul “fine vita” ed in generale i temi della c.d. biopolitica (termine per la verità inquietante) vedono, in entrambi gli schieramenti politici, in posizione di assoluto protagonismo soggetti che hanno il comune denominatore di aver militato fra le fila del Partito Radicale.
Se, prevedibilmente, sul fronte iper – laico troviamo compattamente schierata l’attuale dirigenza radicale, sul fronte pro-life troviamo esponenti del centro – destra come Gaetano Quagliariello o Eugenia Roccella anch’essi con una formazione giovanile radicale. Ed anche la posizione di coloro che guardano ad una (improbabile) terza via ha trovato in Francesco Rutelli (già delfino del lidér maximo radicale). La stessa fronda dissenziente laica intera al PdL è capeggiata da Benedetto Della Vedova.
La circostanza è effettivamente curiosa, ma non è affatto causale e merita di essere approfondita. Per comprendere appieno le ragioni del fenomeno occorre in primo luogo sgombrare il campo da una tesi superficiale che ogni tanto fa capolino. La tesi è che la posizione della Roccella o di Quagliariello sia il frutto di un mero calcolo tattico di convenienza politica, ascrivibile alla categoria del “voltagabbanismo”. La tesi non sta in piedi per due motivi: perché non corrisponde a nessuna buona ragione pratica e perché al contrario alla base della posizione di quanti, di formazione laica, decidono di assumere sui temi “eticamente sensibili” posizioni non ortodosse rispetto al pensiero politico “laicamente corretto” vi sono solide ragioni teoriche (che naturalmente possono essere condivise o meno).
Dal punto di vista della ragion pratica, non v’è dubbio che per Quagliariello o la Roccella sarebbe stato assai più agevole guadagnare spazi politici e visibilità concentrandosi su altri filoni. Immaginiamo, infatti, che l’attivismo sui temi eticamente sensibili avrà procurato loro non pochi problemi anche all’interno del proprio schieramento, se non altro per la prevedibile diffidenza che avranno incontrato tra le fila dei politici cattolici d.o.c. che nel nostro Paese sicuramente non scarseggiano.
Ma più interessante è il piano della ragion pura. Sforzandosi di leggere i fatti della politica in modo meno superficiale, meno attento alla polemica usa e getta delle agenzie di stampa e dei quotidiani, è possibile rintracciare un forte legame fra i valori profondi della cultura liberale (della quale la vicenda radicale è stata una delle traduzioni più nobili) e le posizioni in materia di inizio e di fine vita. Temi come quello della fecondazione assistita, dell’aborto, del testamento biologico e dell’eutanasia rimandano in modo diretto al rapporto fra l’individuo e la sua capacità di autodeterminazione e lo Stato e la sua capacità di etero – determinazione. In tutti questi casi, l’attenzione verso soggetti in posizione di estrema debolezza (quali l’embrione, il feto, il soggetto gravemente handicappato o il malato terminale) altro non è se non l’ennesimo capitolo dell’eterno dramma di Antigone, del permanente conflitto fra la ragione degli individui e la Ragion di Stato. Naturalmente, in alcuni di questi casi, partendo da premesse politiche schiettamente liberali, è ben possibile dissentire dalle soluzioni di merito proposte. Ciò che non è invece accettabile è archiviare tali posizioni come rigurgiti oscurantisti o tentazioni neo – clericali.
Che le posizioni “teo – con” di politici di provenienza radicale destino stupore è forse comprensibile, ma solo da parte di chi ha una lettura statica e superficiale della vicenda radicale. Una lettura ferma agli elementi superficiali e folcloristici e che invece trascura i fattori culturali di fondo della stessa. Il vero lascito politico di Marco Pannella è stata la sua straordinaria capacità di rimanere sempre fedele ai propri principi anche quando ciò comporta una vera e propria sovversione dell’ordine linguistico consolidato, dei luoghi comuni del politicamente corretto. Del resto, non era proprio Pierpaolo Pasolini, grande poeta comunista, ad invitare i “compagni radicali” ad essere sempre “semplicemente voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili”.