Persa Opel il futuro della Fiat torna incerto
30 Maggio 2009
Questa sera, a Piazza San Carlo a Torino, ad un tavolo del Whrist, il circolo più aristocratico della città (quello dove si respira ancora la nostalgia di quando si era una capitale al centro delle Grandi Potenze del Consesso Europeo), si riunisce , a cena, un gruppetto di storici. Parleranno, però, di un tema molto attuale: cosa succederà a Marchionne, e quel che più conta, alla Fiat, dopo la sonora sconfitta subita nel tentativo di conquistare (senza contante) l’Opel?
Ai commensali interessa più l’avvenire della Fiat che quello di Marchionne. Al Whrist non si è accettati in maglioncino. Tanto meno se il maglione è considerato un amuleto scaramantico; nei saloni c’è aura risorgimentale – quindi, nettamente contraria ad ogni forma di superstizione (ritenuta appannaggio dei cugini poveri di baronia borbonica). Gli storici ricordano quanto detto da Napoleone ai suoi fratelli e cognati, dopo la battaglia di Austerlitz, quando l’aristocrazia europea si inchinava ai suoi piedi ed i suoi congiunti ottenevano corone di qua e di là : “Alla prima sconfitta, sarà tutto finito”. Per il còrso divenuto Imperatore dei francesi, ciò avvenne alla Beresina, quando, dopo l’inverno russo, i generali bruciarono il tricolore per non farlo cadere nelle mani delle armate dello Zar. Rommel, “la volpe del deserto”, appassionato di storia, raccontò l’episodio ad Hitler, sottolineando come la vera sconfitta non era stata a El Alamein ma Leningrado (dopo che il Führer aveva già fatto stampare i biglietti d’invito per la festa della vittoria da tenersi all’Hotel Astoria di fronte al Palazzo d’Inverno). Per il Generale Tojo, la svolta fu la sconfitta alle Mid-Way , in seguito alla quale scemò anche il suo seguito interno (e nella stessa corte di Hirohito).
Tra la dirigenza Fiat – come già sottolineato da l’Occidentale – c’è sempre stata una certa diffidenza nei confronti del “canadese”, le cui maniere erano e sono così distanti da quelle della “Torino-che-pensa”. Ora la fronda si irradia, si estende, trova supporto pure negli ambienti sindacali (operai ma pur sempre torinesi, d’adozione se i nonni sono venuti dalla Calabria e dalla Lucania, nonché dubbiosi sugli effetti occupazionali della strategia di Marchionne). In primo luogo, il risanamento finanziario ed industriale di cui la stampa elogia Marchionne sarebbe stato più fittizio che reale; nel gennaio 2008 (ossia non tanto tempo fa), il Governo Prodi (in punto di uscire di scena) modificava, ai limiti della costituzionalità il decreto “Milleproroghe” per dare ossigeno all’azienda. In secondo luogo, il tentativo di accaparrarsi Opel ed attività sud-americane della GM viene ora visto come una manovra per fare diventare la Fiat “too big to fail” a livello europeo ove non mondiale; finita male questa strategia, adesso la Fiat appare in tutta la sua fragilità finanziaria – come ben sanno i dirimpettai del Whrist (il Sanpaolo ora Intesa-Sanpaolo).
In terzo, l’operazione Chrysler appare in tutti i suoi limiti: una cortesia fatta ad Obama (il cui principale finanziatore è stata l’United Auto Workers) nella prospettiva che la Casa Bianca potesse rendergli il favore facendo pressioni sulla GM: Obama ed i suoi consiglieri si sono rivelati o poco affidabili o non in grado di sdebitarsi (con Marchionne) – oppure il destino è stato “cinico e baro” (come si dice a Chieti). Adesso la Fiat si trova ad essere non solo la più piccola tra le grandi case automobilistiche europee, ma anche tra quelle più fragili sotto il profilo finanziario, nonché priva di un “piano B” alternativo al piano industriale “A” le cui premesse non hanno più base. Ed aggravata dal fardello della Chrysler, la cui cultura aziendale mal si armonizza con quella di altri (come dimostrato dal tempestoso matrimonio con la Daimler).
Che previsioni fare? Alcuni soci del Whrist auspicano che Marchionne ed il suo maglioncino tornino a Toronto. Ciò non risolverebbe, però, i nodi di fondo che sono finanziari, tecnologici e di mercato. Pare certo che, dopo le ultime vicende, la Fiat avrà difficoltà a bussare alla porta dei contribuenti italiani. Se lo farà – con questi chiari di luna e con queste ristrettezze di bilancio – la troverà chiusa. Ermeticamente.