Perù, tra i candidati alla presidenza spunta la figlia di Fujimori
05 Marzo 2011
Intrappolato nella dicotomia tra passato e presente, il Perù si appresta ad affrontare la tornata elettorale del 10 aprile di quest’anno, che determinerà il cambio alla presidenza del paese e dell’intero legislativo. Negli ultimi dieci anni, Lima ha vissuto una trasformazione economica importante, tale da spingere Moises Naim, già direttore di Foreign Policy, a definire il paese degli Incas un “grande miracolo economico”. Molti progressi sono stati compiuti, ma altrettante sfide sono all’orizzonte. Il Perù necessita di riforme sociali e strutturali che non possono più attendere. Chi vincerà le elezioni di aprile, quindi, avrà la responsabilità di determinare il decollo definitivo del paese.
Il Perù ha vissuto l’età contemporanea all’insegna delle sfide: prima con i vicini regionali per dispute territoriali, poi al proprio interno, in una costante ricerca di stabilità politica, a lungo mancata. La fragilità del sistema democratico, infatti, è stato il marchio di fabbrica Perù, costantemente in bilico tra tentati (e alcuni riusciti) colpi di stato e rovesciamenti dell’ordine istituzionale. In questo quadro politico le forze armate hanno giocato un ruolo di primo piano: si ricordano il regime del generale Juan Francisco Velasco Alvarado del ‘68, il cui modello politico oscillava tra capitalismo e comunismo, e quello del generale Francisco Morales Bermúdez Cerruti nel ‘75. Da qui, una breve parentesi democratica, iniziata nel 1979 con la promulgazione dell’undicesima costituzione del paese e terminata nel ’90 con la presa del potere di Alberto Fujimori. Dopo un decennio dittatoriale, tristemente caratterizzato dalla soppressione delle libertà democratiche e dalle continue violazioni dei diritti umani, il Perù ha iniziato con il presidente Valentín Paniagua Corazao un percorso per la stabilizzazione democratica e il rilancio economico del paese. Se la fine della dittatura di Fujimori ha dato vita a un nuovo capitolo della storia peruviana, il cammino verso la normalizzazione appare ancora lungo e tortuoso. Ne è un esempio il doppio volto del Perù: da un canto le metropoli, come Lima e Callao, che catalizzano l’attenzione finanziaria ed economica a livello nazionale e estero; dall’altro le regioni andine, prevalentemente abitate da popolazioni indigene, le cui strade dissestate, i pueblos di fango e argilla, sono un chiaro riflesso di emarginazione strutturale e sociale.
La società di consulenza madrilegna Solchaga Recio & Asociados ha pubblicato questo mese l’annuale dossier di scenario dal titolo emblematico Perspectivas. América Latina 2011. Nelle sue quarantotto pagine emerge un Perù ruggente, che registra una crescita del PIL dell’ 8,7% nel 2010 e stimata a 6,3% per il 2011, spinta soprattutto dagli ingenti investimenti esteri e dall’incremento delle esportazioni (per lo più verso Pechino). L’analisi dell’istituto dedica allo stesso tempo ampio spazio al piano istituzionale, ed in particolar modo alle prossime elezioni e ai candidati che concorrono alla carica presidenziale. Secondo l’inchiesta statistica condotta da Ipsos e riportata nello stesso dossier, il favorito sarebbe l’ex sindaco di Lima, Luis Castañeda di Solidaridad Nacional, come secondo Alejandro Toledo, di Perú posible, già ex presidente del paese (2001-2006), seguito da Keiko Fujimori, di Fuera 2011. Con il 9,8% delle preferenze vi sarebbe il candidato del Partido Nacionalista – Gana Perú, Ollanta Humala, e con il 5,8% Mercedes Aránz, esponente dell’APRA (Alianza Popular Revolucionaria Americana) e delfina dell’attuale presidente Alan García. Secondo il sondaggio del quotidiano La República, invece, la “classifica di gradimento” si rovescerebbe: Toledo sarebbe in vetta alle preferenze, seguito da Castañeda e da Keiko Fujimori.
Il cognome non lascia adito a molte interpretazioni: è lei, la figlia dell’ex presidente Alberto, Prima Dama della Nazione nel ‘94 a soli diciannove anni e dalla grande popolarità per l’impegno politico e le opere di bene. La sua presenza tra i papabili alla carica presidenziale ha suscitato clamore e perplessità tra coloro che temono un possibile ritorno del padre sulla scena politica. In precarie condizioni di salute e detenuto in un carcere peruviano dopo la condanna a venticinque anni per i massacri di Barrios Alto e dell’università la Cantuta, l’ex presidente è ancora una figura di primo piano. Le dichiarazioni di Pedro Pablo Kuczynski, esponente della coalizione di destra Alianza para el gran cambio, pro grazia all’ex presidente, dimostrano come il fujimorismo abbia lasciato un buon ricordo in alcune frange della popolazione. Questa saudade potrebbe essere il frutto dell’aumento della criminalità e del ritorno sulla scena di Sendero Luminoso, il gruppo terroristico di narcotrafficanti che insanguinò per un ventennio il paese. Keiko ha cavalcato l’onda del bisogno di sicurezza, facendone il proprio cavallo di battaglia e rievocando paura del presente e miti del passato. Una vena demagogica nella strategia politica della Fujimori, evidente anche nella proposta di ripristinare la pena di morte per i pedofili.
La partita elettorale, però, è ancora aperta: le colazioni partitiche sono in itinere e i candidati alla vicepresidenza sono scesi in campo a soli due mesi dall’elezione. Si aspetta, quindi, di vedere come e in che termini percentuali i peruviani apprezzeranno o meno le scelte dei partiti. Un dato è evidente: nella schiera di nomi e candidati finoggi presentatisi, non vi sono new entry. Tutti, infatti, presentano un curriculum importante, spesso coronato dall’aver rivestito in passato cariche di primo piano. Un rinnovamento politico, quindi, appare improbabile, almeno in termini di “volti nuovi”.