Pescara insegna: la riforma della Giustizia non può più aspettare

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Pescara insegna: la riforma della Giustizia non può più aspettare

30 Dicembre 2008

Il bollettino sul fronte giudiziario segnala due grosse novità: le ritirate strategiche dei giustizialisti e quelle  dei “democratici” in relazione  alla  vicenda del sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso.

Nel partito giustizialista  spuntano i badogliani,  coloro che sino a poco fa erano a favore del “partito dei giudici” (termine con cui si allude in realtà ai pubblici ministeri che sono parte e non giudici della causa), ma ora fanno marcia indietro, pur dichiarando che la loro “guerra continua”, cioè che sono coerenti con sé stessi, ciò  allo scopo di salvare dal tracollo e riciclare il proprio ruolo elitario e la propria compagine politica o culturale. Intendo riferirmi in particolare a due grossi calibri che hanno propugnato il  giustizialismo come  “partito dei giudici” (o meglio dei pubblici ministeri) che interferiscono nella politica,vale a dire Luciano Violante e Vittorio Grevi.  Il primo ora sostiene che occorre riformare il Consiglio superiore della magistratura togliendogli il carattere di corporazione dei magistrati. Ciò  allo scopo di controllare meglio la  loro condotta, a volte arbitraria, che dipende dai vasti poteri dei magistrati loro capi ufficio. E a tale fine suggerisce che i  membri del Consiglio superiore della magistratura dovrebbero essere eletti per un terzo dal parlamento, per un terzo dal capo dello stato e per un terzo soltanto dai magistrati medesimi. Il commento a questa proposta va rinviato ad altra circostanza. Ma è importante che essa ci sia e che venga da un antico profeta del “partito dei giudici", cioè dei pubblici ministeri che interferiscono nella politica.

Quanto al professor  Vittorio Grevi,  guardiano del giustizialismo da Via Solferino (ove ha sede il Corriere della Sera) , egli ora prospetta  norme severe non per l’uso ma per l’abuso e l’arbitrio nelle intercettazioni telefoniche, a carico dei magistrati medesimi, in particolare con riferimento alla divulgazione di fatti penalmente irrilevanti che riguardano la sfera privata. Che la riforma della giustizia debba comportare sanzioni per i magistrati che fanno un uso improprio dei loro poteri mi pare una ammissione importante. Ciò soprattutto perché è fatta  dal guardiano del giustizialismo di Via Solferino, seppure con un linguaggio tortuoso, che tradisce l’imbarazzo derivante dal fatto che molti cronisti del suo giornale in passato hanno fruito e gioito di questi abusi.

Certo, queste riflessioni hanno luogo ora che gli arbitri sono fatti a danno dei propri compagni  di viaggio e di idee e non come prima, a danno di Berlusconi o di Craxi o di Forlani e dei movimenti politici correlati . E ciò non va ignorato. Ed è anche per questo che è opportuno occuparsi del modo con cui il Pd si occupa del caso di  Luciano  D’Alfonso, il brillantissimo sindaco di Pescara, espressione del rampantismo degli uomini nuovi del partito nuovo. Tradotto in arresto domiciliare il 6 dicembre con accuse riguardanti 30 capi di imputazione  D’Alfonso è  stato ora scarcerato dal Gip,  dopo venti giorni a seguito del suo interrogatorio perché gli indizi a suo carico, che pure sussistono, non sembrano meritare gli arresti domiciliari. A detta del pubblico ministero, che deve giustificare la sua precedente decisione, invece,  rimane in piedi  un pesante impianto accusatorio.

Walter Veltroni,  segretario del Pd,  non volle candidare D’Alfonso alle elezioni regionali abruzzesi e ne accettò le dimissioni oltreché da sindaco, anche da segretario regionale del partito in quanto diede supinamente credito alla magistratura che lo aveva arrestato anziché fare una propria indagine, come dovrebbe fare chi ha la responsabilità di un partito e quindi dei suoi dirigenti amministratori.

Ora Veltroni afferma che quel che ha fatto il 6 dicembre il pubblico ministero di Pescara  è grave , perché se Luciano D’Alfonso non fosse stato arrestato, non si sarebbe dimesso da sindaco. E la sua giunta di sinistra non sarebbe caduta. Per la verità si è dimesso anche da segretario regionale del partito, su richiesta di Veltroni . Si potrebbe, naturalmente, obbiettare che una delle ragioni addotte dal Gip per la scarcerazione è che con le dimissioni di D’Alfonso da sindaco, è caduta la sua possibilità di “inquinare le prove”, che ne giustificava un arresto cautelare. Le dimissioni da sindaco non si possono riturare. Ma il segretario regionale può essere integrato. Veltroni  nel prendere le sue posizioni e decisioni al riguardo  non dovrebbe limitarsi alle congetture  sull’esito del processo penali. Dovrebbe agire in base a una propria valutazione dei fatti, dal punto di vista etico-politico. Dall’impianto accusatorio del processo di Pescara, infatti, sembra che siano emerse ristrutturazioni di  abitazioni di D’Alfonso eseguite gratuitamente da imprenditori vincitori di appalti nel suo Comune. Inoltre è risultato che il  sindaco  si avvaleva, come autista e come collaboratore, di un tale Paolini , stipendiato dall’imprenditore privato Carlo Toto e  dotato di “autovettura di alta gamma”. Il Pm non dice di che auto si tratti, è forse una Mercedes ? 

E’ singolare che le lezioni di moralità politica continuino a venire da Antonio di Pietro. Il cui figlio, dotato di cariche amministrative importanti a Campobasso per conto dell’Italia dei Valori , faceva raccomandazioni e otteneva favori dal provveditore alle opere pubbliche Mautone competente per territorio sulla provincia di Campobasso e dipendente da suo padre Ministro delle infrastrutture . E continuino a venire  da un partito, quello Democratico, in cui, per valutare se dovesse  dimettersi o no, dalle sue cariche, il sindaco di Pescara non ci si è chiesti né ci si chiede se sia decente che egli si faccia elargire beni e servizi da suoi amministrati  come un nuovo satrapo ma solo se ciò sia poco o tanto o per nulla rilevante per gli articoli del codice penale.

Detto questo, sarebbe però bene che i magistrati non arrestassero i sindaci o gli amministratori regionali  accusati di reati indiziari con argomenti assai opinabili ed elastici come il possibile inquinamento delle prove, ma si limitassero a procedere a loro carico, lasciandoli a piede libero, senza obbligarli alle dimissioni. Questi arresti comportano una inaccettabile interferenza nelle scelte democratiche delle amministrazioni regionali e locali. Gli onorevoli Bossi e Calderoli debbono rendersi conto che la riforma federalista non potrà funzionare senza una simultanea riforma della giustizia, ispirata a garantismo, nei riguardi delle persone e delle cariche dei pubblici amministratori.