Petraeus al Senato punta il dito contro l’Iran
09 Aprile 2008
Secondo il generale
Petraeus, che ieri ha parlato davanti alla commissione Difesa ed Esteri del
Senato, il ritiro delle truppe in Iraq va sospeso. Questo non vuol dire che non
ci sia stato un sostanziale progresso militare e politico rispetto alla sua
ultima audizione al Congresso nel mese di settembre, ma la situazione rimane
fragile e un ritiro affrettato potrebbe pregiudicare il raggiungimento di
livelli di sicurezza accettabili. Petraeus ha proposto un periodo di sospensione
di quarantacinque giorni nel ritiro delle truppe supplementari inviate lo
scorso luglio, al termine del quale verrà fatta una verifica delle condizioni
sul campo cui seguiranno eventuali raccomandazioni sulle future riduzioni delle
truppe. “Quest’approccio non ci permette di stabilire una scaletta con le date
esatte del ritiro, ma garantisce flessibilità a chi di noi è sul terreno e
vuole preservare la fragile sicurezza per la quale ha combattuto e sacrificato
così tanto”.
Il piano del
comandante della coalizione in Iraq prevede comunque il ritiro definitivo delle
cinque brigate supplementari del surge
entro luglio, e questa settimana, quando Bush parlerà alla nazione sulla
situazione della guerra, annuncerà che i soldati non faranno oltre dodici mesi
di combattimento consecutivi, tre di meno rispetto ad oggi.
Tra i
progressi riportati da Petraeus e dall’ambasciatore americano in Iraq Crocker, le
violenze nel complesso si sono attenuate fino a tornare al livello del 2005, vi
è una diminuzione delle morti civili e sono stati compiuti progressi politici
ed economici come l’approvazione di un piano finanziario, l’aumento del
prodotto interno lordo e la legge sulla de-baathificazione. Entro breve, inoltre,
l’accordo sulla divisione del petrolio diventerà legge. Secondo Crocker, “l’Iraq
ora guadagna le risorse finanziarie di cui a bisogno” e “la fase in cui erano
gli USA a finanziare i maggiori progetti per le infrastrutture è terminata”.
L’interesse
degli Stati Uniti, dice Petraeus, è quello di rimanere in Iraq per prevenire il
ritorno di Al Qaeda, fermare i tentativi dell’Iran di insinuarsi nel paese,
evitare la violenza settaria che potrebbe propagarsi oltre confine rendendo le
condizioni dei rifugiati ancor più
drammatiche, e aiutare l’Iraq a espandere il suo ruolo nell’economia globale e
regionale.
Ciononostante,
le critiche dei democratici non sono mancate. In prima linea troviamo Carl
Levin, chairman della commissione, stando al quale i recenti episodi di
violenza in Iraq mettono in dubbio l’efficacia del surge e gli obiettivi di Bush non sono stati raggiunti.
Le reazioni
più attese sono state naturalmente quelle dei candidati alla Casa Bianca. Per il
repubblicano John Mc Cain l’obiettivo rimane quello di un Iraq indipendente.
“Credo che possiamo raggiungere questo obiettivo”, ha dichiarato, “magari prima
del previsto. Ma credo che promettere un ritiro delle nostre forze, senza tener
conto delle conseguenze, costituirebbe un fallimento della leadership sia politico
che morale”.
La
democratica Hillary Clinton non chiede un ritiro immediato delle truppe, ma sostiene
che “è irresponsabile continuare una politica che non ha prodotto i risultati
promessi all’enorme prezzo pagato dalla nostra sicurezza nazionale e dagli
uomini e dalle donne in uniforme dell’esercito americano”. Se il rivale Barack
Obama non crede in un ritiro affrettato, ribadisce che il dialogo con l’Iran è
vitale per porre fine al coinvolgimento americano in Iraq.
A proposito degli
scontri di questi giorni a Bassora e Bagdad, Petraeus punta il dito
proprio sull’Iran per il sostegno finanziario e l’addestramento delle milizie
sciite attraverso quelle che i militari americani chiamano “special groups”,
corpi speciali che rappresentano il rischio maggiore per il futuro dell’Iraq
democratico.