
Piaccia o no, sulla responsabilità civile delle toghe bisogna fare i conti con l’Ue

10 Febbraio 2012
Sul tema della responsabilità dei giudici bisogna fare i conti con la giurisprudenza comunitaria. Piaccia oppure no. Partiamo da un punto fermo. Il 24 novembre 2011, ponendo termine a una procedura per infrazione promossa dalla Commissione europea, la Corte di Giustizia ha condannato la Repubblica italiana a motivo che la legge n. 117 del 1988, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, non rende effettiva la tutela di cui godono i singoli in virtù del diritto dell’Unione europea.
Da questa pronuncia occorre partire per ragionare pacatamente sulla norma, voluta tramite emendamento, che introduce una forma di responsabilità dei giudici. Occorre, cioè, partire dalle novità significative che sono venute dalla giurisprudenza comunitaria, la quale, come ormai avviene sempre più di frequente in quasi tutti i settori dell’ordinamento, ha condizionato, e soprattutto condizionerà, la linea evolutiva dell’ordinamento interno in materia di responsabilità civile dei magistrati. A cominciare dalla sentenza Francovich del 1991, la Corte di Giustizia ha affermato la responsabilità degli Stati membri per ritardato o omesso adeguamento dell’ordinamento interno ai vincoli comunitari, poiché <la piena efficacia delle norme comunitarie sarebbe messa a repentaglio e la tutela dei diritti da esse riconosciuti sarebbe infirmata se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro>.
Questo orientamento giurisprudenziale, che apriva la possibilità di adire in giudizio lo Stato per sentirne dichiarare l’obbligo di risarcire i danni causati dalla violazione del diritto comunitario, è stato confermato e sviluppato negli anni successivi, fino ad affermare esplicitamente che anche un atto giurisdizionale può dar luogo a responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario (sentenza Köbler del 2003). Lo scopo era quello di garantire tutela risarcitoria nelle ipotesi di danni cagionati da cattiva interpretazione della legge da parte del magistrato, espressamente esclusi dalla clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 2 della legge 117/88.
In questo quadro giurisprudenziale si inserisce la sentenza Traghetti del Mediterraneo s.p.a. del 2006 nella quale la Corte di Giustizia decide su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Genova con riferimento ai presunti danni cagionati da una decisione della Corte di Cassazione (sentenza n. 5087/00), per aver violato l’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia previsto dall’art. 234 TCE. La Corte di Giustizia sostiene che il diritto comunitario osta a una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario, imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado, per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione di norme giuridiche. Così come osta la limitazione della responsabilità alle sole ipotesi di dolo e colpa grave, con esclusione delle violazioni manifeste del diritto.
Certo, è pur vero che la legge n. 117 del 1988 viene esaminata in quanto strumentale all’esercizio del diritto al risarcimento a nulla rilevando, almeno in prospettiva europea, la responsabilità civile del singolo magistrato. Ma il messaggio che proviene dall’Europa e i suoi giudici è quello di un invito-monito a rivedere la legge n. 117 del 1988 alla luce della giurisprudenza comunitaria, per ripensare più in generale il tema della responsabilità civile dei magistrati. Lasciando il Parlamento sovrano nella decisione, purché non difforme al diritto comunitario.