Pisapia ma che centrosinistra vuoi? Largo, stretto o a pois?
04 Dicembre 2017
Facciamo un campo progressista, poi lo facciamo largo, poi lo rirestringiamo e lo facciamo a pois. “Veniamo dalla sinistra e saremo capaci di mettere insieme centro e sinistra per costruire un nuovo centrosinistra” dice Giuliano Pisapia alla Stampa quando gli si chiede dei rapporti con Angelino Alfano, del 25 novembre. Poi un titolo del Corriere della Sera del 26 novembre annuncia una contro svolta: “Il ‘giallo’ di Pisapia che prima apre e poi chiude ad Alfano”. L’articolo sotto il titolo citato riferisce una frase di Pisapia che vuole spiegare “il giallo”: “Mi dicono che circola la notizia secondo la quale io avrei detto sì ad Alfano. E’ una notizia del tutto inventata. Non confondiamo il centro con il centrodestra o la destra”. Il campo progressista è anche largo ed esteso, la sinistra si mette insieme al centro per fare un centrosinistra che non è un centrodestra ma è un rapporto tra un puro centro e una pura sinistra. In certi politici la lucidità dell’analisi talvolta arriva a un punto estremo che si può riassumere, come ho già osservato altre volte, con questo antico interrogativo: “Se l’arcivescovo di Costantinopoli si volesse arcivescovoscostantinopolizzare, vi arcivescovocostantinopolizzereste voi per arcivescovoscostantinopolizzare lui?”.
Saranno le tasse o Flynn a decidere sul destino della Casa Bianca, e dunque se il mondo sbanderà o meno? “The false statements involved mirror the false statements to White House officials which resulted in his resignation in February of this year. Nothing about the guilty plea or the charge implicates anyone other than Mr. Flynn,” Cobb said. “The conclusion of this phase of the Special Counsel’s work demonstrates again that the Special Counsel is moving with all deliberate speed and clears the way for a prompt and reasonable conclusion.” Ty Cobb, avvocato di Trump, spiega alla Cbs news il 2 dicembre come la falsa testimonianza all’Fbi sia speculare a quella di Michael Flynn al vicepresidente Mike Pence a causa della quale il generale fu fatto dimettere da advisor della National security agency e, dice ancora l’avvocato, in questo senso la Casa Bianca non ha timori e spera anzi che l’indagine prosegua e possa rapidamente concludersi.
“In the end, the tax plan may resonate more powerfully with the public than the legal woes of a former presidential aide; at least Mr. Trump’s team hopes so. But for the moment, at least, watching one of their own hauled before a judge dampened any celebration over developments in Congress. It raised uncomfortable questions about what Mr. Flynn might be telling the special counsel, Robert S. Mueller III. And it could easily distract a president not exactly known for a disciplined political and policymaking operation”. Peter Baker e Maggie Haberman scrivono sul New York Times dell’1 dicembre che per ora il piano di massicci tagli alle tasse approvato oscura l’ammissione di colpevolezza di Flynn ma Mueller può ancora fare qualche sorpresa distrarre un presidente che ha già qualche difficoltà a concentrarsi.
“Like most people on the left, I have spent the past year putting great faith in the courts and legal institutions to act as a check on Donald Trump, maintaining this faith even as Trump fired career lawyers like James Comey and Sally Yates and replaced them with ideologues and thugs”. Dahlia Lithwick su Slate dell’1 dicembre dice che come molte persone di sinistra ha passato l’ultimo anno a sperare che le corti e le varie istituzioni impegnate nel difendere la legalità potessero bilanciare Trump anche se questi aveva licenziato valenti avvocati come James Comey e Sally Yates per rimpiazzarli con tipacci fanatici.
Insomma tutti hanno la sensazione che si sia a una svolta: i legali di Trump chiedono di far presto e danno a intendere di sentirsi tranquilli. Il vero partito d’opposizione cioè i media liberal sperano che il taglio delle tasse non tolga spazio a Mueller. I radicali hanno paura che la partita cosiddetta “legale” sia finita e che sia tempo di scendere in piazza. La situazione è incerta come coglie Federico Rampni che sulla Repubblica del 3 dicembre scrive: “Lo champagne dovrà restare nel frigo” non è ancora giunto il momento per brindare alla decapitazione del Donald.
Personalmente mi auguro che non si apra una nuova fase Gerald Ford-Jimmy Carter: lasciare senza un’adeguata politica estera gli Stati Uniti nel 1975 per circa sei anni provocò problemi seri con un’inedita influenza della pur sclerotica Unione sovietica di Leonida Breznev e con la rivoluzione degli ajatollah che aprì la stagione del neofondamentalismo islamico. Però grazie anche all’operazione Richard Nixon e Henry Kissinger sulla Cina e al fatto che il neoislamismo si scaricò su Mosca con la guerra in Afghanistan, il mondo occidentale se la cavò e si poté così inaugurare la stagione degli anni ‘80. Oggi la situazione è molto più disgregata che negli anni Settanta (allora almeno c’era un equilibrio sia pure bipolare) anche grazie alla fallimentare politica di Barack Obama e in sei anni i guasti che si potrebbero produrre, probabilmente finirebbero per essere particolarmente gravi.
Da Spadolini a Bertinotti, in odio a Trump. “Un’impresa pensata soprattutto per le imprese e per i ricchi, come si deduce anche dall’euforia che continua a regnare in Borsa”. Così Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 2 dicembre presenta la riforma sulle tasse approvate l’1 dicembre dal Senato americano. Un giornalista di valore, di formazione spadoliniana, si mette a parlare, in odio a Trump, come un bertinottiano, dimenticandosi tra l’altro che tutti i fondi pensioni dei lavoratori americani si basano su quel mercato azionario da lui liquidato come parco giochi dei “ricchi”.
Ai millennial si deve dare una visione del futuro, non solo astratte riflessioni sui loro interessi materiali. “Oggi i millennial tra i 18 e i 34 anni, e quindi con diritto al voto, sono undici milioni rispetto a 50 milioni di elettori: ecco perché l’offerta politica non li considera con sufficiente attenzione”. Rosaria Amato sulla Repubblica del 2 dicembre riferisce sul 51° rapporto del Censis come al solito illuminante innanzi tutto nell’analizzare il “rancore” di nicchia da blocco dell’ascesa sociale come il principale problema della società italiana. Con molto acutezza il rapporto del Censis individua poi nei Millennial (quelli divenuti maggiorenni dopo il 2000) uno dei segmenti più allo sbando della realtà nazionale anche perché gli equilibri generazionali spingono la politica a interessarsi più dei pensionati che dei giovani. In realtà il peso che le nuove generazioni hanno nell’influenzare il clima della nazione è molto più ampio del loro puro peso numerico: il rancore della famiglie è in buona parte generato dalla poche aspettative che si aprono per i figli. E’ per questo motivo che i millennial, che sono la principale base sociale dei grillini come i descamisados lo erano per il peronismo, finiscono per avere una grande influenza elettorale. Chi pensa di risolvere la questione solo con riflessioni sulle questioni materiali che riguardano la condizione giovanile (e il peggiore è Matteo Renzi con tutte le sue politiche di “buoni”) non comprende che soprattutto le avanguardie attive dei giovani che poi influenzano il clima generale dei millennial hanno bisogno di visione ancora prima che di pane: quale Italia si può costruire? Ci può essere un’Europa che non sia una Cacania come è quella di oggi? Quali sono le radici della civiltà in cui si deve crescere? Non sarebbe male che chi si occupa di politica interrogasse i docenti delle superiori e delle università per avere consapevolezza dello smarrimento di chi, nella stagione in cui deve formarsi, non ha più una chiara idea di che cosa sia il mondo, da dove si viene e quali sono i principi che devono ispirare le scelte per il futuro.