Più che scrivere Marcegaglia e Della Valle dovrebbero pensare al paese

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Più che scrivere Marcegaglia e Della Valle dovrebbero pensare al paese

04 Ottobre 2011

E’ tempo di lettere. Dopo quella della Bce al governo italiano del 5 agosto, ne abbiamo avute altre due il 2 e il 3 di settembre, questa volta  di importanti operatori industriali italiani. C’è quella di Diego della Valle pubblicata domenica, come inserzione a pagamento su grandi quotidiani in cui egli, con una prosa un po’ incerta, chiede che gran parte dei politici italiani facciano un passo indietro, in quanto non competenti, non seri e non dotati di buona reputazione e lascino il campo a una classe eletta, costituita “dalle componenti della società civile più serie e responsabili, che hanno veramente a cuore le sorti del Paese (politici – mondo delle imprese – mondo del lavoro) che si adoperino e lavorino per affrontare con la competenza e la serietà necessaria questo difficile momento”.

E appena giunta questa, ecco lunedì  la lettera di Sergio Marchionne amministratore delegato di Fiat spa e di Fiat auto alla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia in cui la informa che queste imprese usciranno dalla confederazione nazionale degli industriali dal 1 gennaio del 2012. Ciò in quanto con la firma dell’accordo del 21 settembre fra Confindustria e sindacati nazionali è iniziato un acceso dibattito che, con prese di posizione contraddittorie e addirittura con dichiarazioni di volontà di evitare l’applicazione degli accordi nella prassi quotidiana, ha fortemente ridimensionato le aspettative sull’efficacia dell’Articolo 8 del decreto approvato di recente dal parlamento che prevede importanti elementi di flessibilità oltre alla estensione della validità dell’accordo del 28 giugno fra Confindustria e sindacati sui contratti aziendali a quelli conclusi precedentemente a tale data.

Marchionne argomenta che l’accordo del 21 settembre “rischia di snaturare l’impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale. E conclude che Fiat, “che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato”. Da un lato una lettera in cui un imprenditore chiama a raccolta il mondo delle imprese e il mondo del lavoro e i politici migliori, affinché governino il paese, che è un po’ lo schema che Emma Marcegaglia ha messo assieme di recente, con l’accordo del 21 settembre e con il suo “manifesto”, firmato oltreché da Confindustria, anche da ABI (l’associazione nazionale delle banche), la Confcommercio, la Confartigianato, e le tre sorelle ex comuniste Confesercenti – CNA e Confederazione delle cooperative – dall’altro lato una lettera in cui la maggiore impresa industriale italiana esce dalla Confindustria perché vuole che si applichi la legge che dà validità retroattiva ai contratti aziendali in deroga a quelli nazionali e consente nuove flessibilità nei rapporti di lavoro, approvata a maggioranza dal parlamento, cioè da quella classe che Della Valle definisce incompetente, non seria e priva di buona reputazione.

Questa, come dicevo all’inizio, è un’epoca di lettere. E per la verità questo governo, che Diego Della Valle considera non competente, non serio e non dotato di buona reputazione, nell’introdurre l’articolo 8, nella manovra di finanza pubblica con cui anticipa il pareggio del bilancio al 2013, ha risposto a due richieste contenute nella lettera della Bce del 5 agosto 2011. In essa Jean Claude Trichet e Mario Draghi, rispettivamente presidente sino al 1 novembre e suo successore da quella data in poi, scrivono “C’é anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione. Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.  Il governo e il parlamento, questa classe politica che dovrebbe lasciare il posto a una coalizione mondo delle imprese-mondo del lavoro ha approvato misure che corrispondono alla lettera della Bce, che è condizione per i suoi interventi a sostegno del debito pubblico.

Al contrario la Confindustria con l’accordo del 21 settembre ci si è messa di traverso ed ha perciò ricevuto una lettera in cui Fiat la lascia. A questo punto è lecito domandare a Della Valle se approva la lettera della Bce e, in tal caso, a chi pensa di rivolgersi, con la sua lettera, quando proclama la necessità di fare un governo sostenuto dalle imprese e dal mondo del lavoro, in sostituzione dell’attuale. La verità è che in Italia esistono due schieramenti politici ed economici, quello di centro destra che ha espresso la maggioranza parlamentare e il governo che, pur con i limiti dovuti alle resistenze della Lega Nord all’aumento delle età di pensionamento, che persegue la linea che la Bce chiede per il risanamento della finanza pubblica e quello di centro sinistra, che Emma Marcegaglia ha cercato di rappresentare con il suo “manifesto” e con l’accordo del 21 settembre, che pensa ancora a una concertazione, tipo 1993-94. E i vari Della Valle e Marcegaglia debbono scegliere una parte o l’altra. Non si possono tenere i piedi in due scarpe, neanche se sono Hogan o Tod’s. La situazione è veramente delicata, per i problemi del debito pubblico e della crescita. Chi ha veramente a cuore le sorti del paese dovrebbe rafforzare la linea del PDL nella attuale coalizione, sui temi concreti, indicati dalla Bce, non vagheggiare il governo della società civile, che si regge sulla concertazione nazionale, che ingessa l’economia. Anche per i sindacati nazionali è l’ora dalla scelta.