Più mercato: è questa l’unica risposta concreta per il futuro dell’Europa
29 Maggio 2012
Nel dibattito sul futuro dell’euro ha avuto un ruolo importante la lezione Caffè di Mario Draghi alla Facoltà di Economia dell’Università di Roma, La sapienza, in cui egli ha teorizzato accanto alle funzioni attive non convenzionali della BCE, come Banca Centrale dell’euro, di natura non keynesiana, anche il growth compact, cioè il patto per la crescita europeo, accanto al fiscal compact, come strumenti di politica pubblica necessari per il completamento di tale architettura, appunto non keynesiana. Ossia non statalista. Draghi ha detto che è oramai evidente che i deficit fiscali non producono crescita, ma generano l’effetto opposto, perché causano aspettative negative sul futuro economico e finanziario.
Ha anche osservato con molta forza che mentre sino a qualche tempo fa si pensava che una Banca centrale che espandesse la moneta, in modo da generare inflazione, poteva attivare la crescita, ora ci si è convinti che la crescita la si ottiene, se invece si mantiene una politica di stabilità monetaria, che tiene basso il costo del danaro, favorisce il risparmio induce gli operatori economici e i risparmiatori a essere fiduciosi nel futuro e quindi ad investire, intraprendere, lavorare per il domani. Questi concetti penetrano a fatica, in Italia e in Europa e oltre Atlantico, eppure corrispondono oltreché a una buona teoria economica, anche al buon senso. Essi vanno tenuti presente per il nostro paese, in relazione alla necessità di collegare la politica di tendenziale pareggio del bilancio a una politica pro crescita, che controbilanci gli effetti deflazionistici del modo con cui questo pareggio viene perseguito dal governo Monti, cioè con un eccesso di tributi, per di più a carico del risparmio.
E vanno tenuti presente anche in relazione alla necessità di proporre in sede politica delle soluzioni efficaci e realistiche per l’architettura dell’unione monetaria europea. Angela Merkel rifiuta gli eurobond, come strumento di messa in comune dei debito pubblici degli stati membri, perché ciò farebbe venire meno lo stimolo alla disciplina fiscale dei singoli stati. Credo che anche all’Italia non convengano gli eurobond, in cui i nostri debiti di mescolerebbero con quelli della Grecia, della Spagna, del Portogallo E in contro partita di tale messa in comune del debito pubblico con altri stati dell’euro ci sarebbe la necessità di un governo poliziotto che obbligasse ciascuno a seguire le prescrizioni europee. Il poliziotto sarebbe tedesco-finlandese e, immagino, anche francese data l’abilità di Parigi di comandare più di quello a cui le sue valenze effettive darebbero titolo. A me pare importante che in Italia ci sia una forza politica di ispirazione liberale e insieme sociale che spieghi che noi abbiano diritto alla nostra identità nazionale e culturale, abbiamo il dovere di fare noi stessi le nostre riforme ed abbiamo la possibilità di risolvere noi stessi i nostri problemi.
E’ perfettamente possibile farlo in una euro zona concepita non come un super stato Moloch, ma come un modello neo liberale di unione monetaria, secondo i principi che si trovano già in Luigi Einaudi e che Mario Draghi ha riproposto lucidamente sulla base dei risultati delle analisi economiche concrete degli ultimi venti anni. Il pareggio del bilancio non va conseguito mediante l’aumento delle imposte, ma con la riduzione delle spese. E la politica della crescita si può fare con un minimo di spesa pubblica e un massimo di iniziativa privata, sia a livello italiano, che a livello europeo, in particolare mediante la cosidetta finanza di progetto, che ora viene presentata, in Europa, con la terminologia dei project bond, che la stessa Angela Merkel appare propensa ad accettare, sia pure per ora in forma sperimentale. Ciò mediante uno stanziamento di 250 milioni di euro che dovrebbe attivare 4 miliardi di spesa di investimento in infrastrutture intereuropee. Se nei mesi scorsi non si fosse perso tempo a sostenere gli eurobond come mezzo per mettere in comune i debiti dagli stati membri e si fosse insistito di più sui project bond, e se il nostro premier avesse puntato in modo concreto su tali progetti, nelle varie assiste di cui ha fatto e fa parte, a livello europeo e globale ora questa politica potrebbe esser già concreta. Occorre che si insista su ciò.
Una efficace azione europea di crescita non la si può invece fare con la euro burocrazia. La si può realizzare solo mobilitando le forze del mercato per iniziative infrastrutturali, particolarmente quelle ad alto contenuto tecnologico, che danno un rendimento economico, di medio e lungo termine, che va integrato con autorizzazioni e sostegni finanziari pubblici di stati diversi. La finanza di progetto di medio e lungo termine è ampiamente praticata, a livello mondiale, in particolare nell’area asiatica e dell’Australia e Nuova Zelanda per le iniziative infrastrutturali e industriali sulla base dei flussi di cassa da essi previsti. I suoi settori principali attualmente sono petrolio, gas, petrolchimico, minerario, energia, trasporti e telecomunicazioni. Ma in Nuova Zelanda, in cui questo strumento è particolarmente utilizzato dal governo, nella forma della Public Private Partnership, esso opera anche nel settore dell’edilizia sociale. I project bond possono anche finanziare un progetto affidato, nella esecuzione, interamente alle imprese. La struttura consiste in una società per azioni sponsor e in un pacchetto di debito fornito da una banca o da un pool di banche. Il project bond può costituire l’intero pacchetto di debito o anche una sua parte.
La finanza pubblica europea può dare un apporto con garanzie assicurative e con contributi in conto capitale, con un effetto di leva che si può calcolare fra le 15 e le 20 volte. Per dare l’idea del potenziale che si può manovrare a livello europeo, basta osservare che se il Fondo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria potesse finanziare politiche di questo genere, destinandovi 50 dei suoi 500 miliardi, in un apposito fondo di rotazione, con ammortamento ventennale, in questo modo si potrebbero mobilitare almeno 750 miliardi di investimenti. Ciò con effetti imponenti per la crescita europea non solo in termini di domanda globale, ma soprattutto in termini di potenziamento delle infrastrutture e delle dotazioni tecnologiche dell’eurozona. E con ricadute rilevanti sulla ricerca e sull’innovazione. E generando nei fatti quella coesione che da Lisbona in poi si fa enfaticamente e vanamente cercando nelle montagne di carte degli eurogruppi. Ma sorge anche la domanda sul perché la finanza di progetto non venga lanciata anche in Italia, come strumento per la politica della crescita, quanto meno attivando i progetti che già ci sono come quello del Ponte sullo Stretto.
Ieri negli Stati Uniti si è celebrato il 75 esimo anniversario del Golden Gate Bridge di San Francisco lungo 2,7km e sospeso a circa 70 metri dal mare i cui lavori di costruzione vennero iniziati nel 1933 e terminarono nel 1937. Il Ponte sullo Stretto lungo il doppio unisce due parti dell’Italia separate da un canale molto più piccolo di quello che separa Francia e Inghilterra che sono ora unite da un tunnel sotto la Manica. Esso è finanziato per il 60% dai privati e per il 40% dagli operatori pubblici, ma una quota della porzione finanziaria pubblica è a carico dell’Unione Europea e un’altra quota è a carico dei Fondi Fas, cioè dei fondi regionali di sviluppo della Sicilia e della Calabria, che sino ad ora sono stati dispersi in una miriade di iniziative con scarsi risultati economici. E le quote Fas in questione sono comunque già assegnate. Resta una piccola quota dello stato italiano, da versare a rate. La mia domanda è: mentre si chiede una maggior integrazione europea e una finanza europea pro crescita basata su project bond non si potrebbe cominciare a dare l’esempio in Italia con una politica pro crescita sulla finanza di progetto, basata sulla maggior integrazione fra Nord e Sud e fra Calabria e Sicilia? A me pare che il discorso concreto sull’Europa debba partire da noi. E soprattutto non debba essere fatto invocando più stato, ma invocando maggior spazio per il mercato. Si, si può fare.