
Più società di capitali ed export: il Mezzogiorno prova a ripartire

07 Maggio 2012
Un Mezzogiorno «al bivio», sospeso tra recessione e speranze di ripresa. È questa l’immagine delineata dall’ultimo numero di Check up Mezzogiorno, semestrale curato congiuntamente dall’Area Mezzogiorno di Confindustria e Srm Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo) che fornisce informazioni dettagliate sulle tendenze congiunturali per regioni e grandi ripartizioni.
Il focus sulla crisi mostra che la recessione non accenna a lasciare le regioni meridionali e anzi sta forse toccando proprio ora il punto più basso, colpendo il Mezzogiorno più del resto del Paese. I valori lasciati sul campo dall’economia e dalla società meridionali dall’inizio della crisi sono impressionanti. Nel 2010 il Pil meridionale è calato di circa 19 miliardi rispetto al 2007 (-6,1%), gli investimenti sono diminuiti di 7,5 miliardi (-10,8%), il fatturato complessivo delle imprese manifatturiere è diminuito di quasi 2 miliardi (-2,8%), quasi 320 mila occupati hanno perso il lavoro. Nello stesso periodo, il ricorso alla Cassa integrazione è stato massiccio, ed in aumento nel corso del 2011 (159 milioni di ore in più). Così gli squilìbri strutturali che caratterizzano il Mezzogiorno sono rimasti inalterati o, semmai, hanno fatto registrare peggioramenti ulteriori, il Pil pro capite è ancora pari a circa il 42% di quello del Centro Nord, nonostante la crescita della popolazione meridionale si sia ormai interrotta. Rispetto ai paesi dell’Unione europea a 27, il dato del Pil procapite del Mezzogiorno è inferiore di oltre il 31%, divario che si riflette in valori degli indicatori relativi ad Europa 2020 che sono tra i più bassi dell’intera Unione.
Tuttavia, alcuni flebili segnali di inversione di tendenza iniziano ad essere visibili, consolidandosi rispetto alla precedente rilevazione. La crisi ha favorito, infatti, una ulteriore selezione da parte del mercato, con l’espulsione delle imprese meno competitive e l’aumento delle società di capitali, segno di un ispessimento lento, ma costante, del tessuto produttivo meridionale, sempre di più costituito da minori imprese ma di migliore qualità: nel 2011 le società di capitali sono cresciute del 4,3% nel Mezzogiorno e del 2,1% nel Centro-Nord.
Le esportazioni meridionali, dal canto loro, sono tornate a crescere nel 2011 (+14,7%) ad un ritmo superiore a quello del Centro-Nord, nei paesi del Mediterraneo e perfino (seppure in maniera ridotta) nei mercati più dinamici come i Brics.
Qualche timido segnale positivo si intravede, in un quadro complessivo che permane comunque assai pesante, anche nel mercato del lavoro (a fine 2011 il numero degli occupati ha segnato un +0,4%, appena inferiore al dato medio italiano, dopo 3 anni consecutivi di contrazione della base occupazionale), mentre si consolida la leadership delle regioni meridionali nel campo delle energie rinnovabili e riprendono anche gli arrivi turistici nelle regioni meridionali.
«La crisi – secondo gli autori del rapporto (tra cui Giuseppe Rosa, direttore dell’Area Mezzogiorno Confindustria e Massimo Deandreis, direttore generale dì Srm) – si conferma paradossalmente come l’elemento esterno che può stimolare gli attori del sistema a fare ciò che fino a questo momento non si è voluto o potuto fare: le imprese, a riprendere la via degli investimenti per affacciarsi sui mercati con maggiore fiducia, con più forza competitiva, con idee innovative e con voglia di lavorare in rete; le istituzioni finanziarie a sostenere l’accesso al credito promuovendo la crescita patrimoniale e dimensionale delle piccole imprese; le amministrazioni, a dimostrare di essere finalmente capaci di assecondare questi sforzi, accentuando nel Sud la produzione di utilità collettive e arrestando lo spreco di capitale umano, soprattutto giovanile e femminile».
I dati dei Check up confermano, pertanto, il forte dualismo tra il Nord ed il Sud del Paese, non solo sotto l’aspetto economico, ma anche infrastrutturale e sociale. Ciò emerge chiaramente anche dall’indice sintetico di sviluppo elaborato nel 2010 dall’Area Mezzogiorno di Confindustria, secondo cui le province meridionali presentano mediamente un ritardo di circa il 40% rispetto a quelle centro-settentrionali.
Se la disponibilità di risorse nazionali necessarie per colmare il divario tra le due aree del Paese è scarsa e in riduzione (anche se recentemente il Cipe è tornato ad assegnare risorse Fas alle infrastrutture) quelle europee potrebbero essere meglio utilizzate, innanzitutto migliorando la capacità di spesa dei fondi disponibili. In totale per il 2007-2013 il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (Fesr) e il Fondo Sociale Europeo mettono a disposizione oltre 43 miliardi di euro per le regioni dell’Area Convergenza, di cui solo il 19,8 % è stato effettivamente speso.
Se lo scenario attuale è fatto dì molte ombre, ma anche dì qualche luce, come l’andamento recente dell’export, l’ispessimento del tessuto produttivo generato dalla crescita del numero di società di capitali e la leadership nel campo delle energie rinnovabili, le prospettive di lungo periodo scontano previsioni demografiche nerissime per il Mezzogiorno. Secondo gli ultimi dati previsionali sulla demografia del Paese (pubblicati dall’Istat a fine dicembre 2011), l’Italia meridionale risulterà essere sempre meno attrattiva, specie nei confronti dei giovani: le previsioni al 2065 stimano un calo complessivo della popolazione meridionale dagli attuali 20,9 milioni dì persone a 16,7 milioni, in controtendenza rispetto al dato italiano. Il Mezzogiorno, che oggi rappresenta la macro-area con l’età media più bassa (41,9 anni), nel 2065 presenterà, invece, la popolazione mediamente più anziana (51,6 anni di media) e un indice dì dipendenza della popolazione (cioè il rapporto tra giovani e anziani) che da 27,2 del 2011 (il livello più basso tra le macroaree italiane) salirebbe a 69,4, circa 10 punti in più della media nazionale.
È necessario intervenire rapidamente per evitare che tali previsioni trovino conferma in futuro. La riduzione della popolazione di oltre 4 milioni di persone da qui a 50 anni e la crescita dell’età media di quasi 10 anni significano, infatti, la perdita della risorsa più preziosa per il Mezzogiorno: il capitale umano. Per invertire il trend è necessario creare le condizioni affinché al Sud si possa restare e vivere bene e affinché imprese e imprenditori ne siano attratti.
(tratto da Il Corriere del Mezzogiorno Economia)