Politica deludente? E Campi dov’era?

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Politica deludente? E Campi dov’era?

11 Marzo 2010

Caro direttore, mai il titolo di una rubrica, “Che ci faccio qui?”, si è rivelato appropriato come nel caso del commento di Alessandro Campi sul Riformista di ieri sulla questione delle liste regionali. Al di là di alcune argomentazioni su cui si può concordare, il senso dell’articolo sembra consistere nel chiamarsi fuori.

Chiamarsi fuori fino a considerare l’astensione al voto amministrativo come un’ipotesi di “civile protesta” di fronte a una classe politica che a destra è improvvisata e incapace, e a sinistra demagogica e irresponsabile. Non sarei d’accordo nemmeno se l’autore fosse un opinionista estraneo agli schieramenti: non mi convincono le analisi in cui si conclude che tutte le vacche sono grigie, che la decadenza delle istituzioni o dei costumi ha inghiottito i torti e le ragioni, e che si può solo guardare dall’alto, sconsolati e un po’ schifati, lo spettacolo indecoroso.

Ma ancora meno posso essere d’accordo quando chi scrive non è affatto un editorialista “importato dall’estero con i container”, secondo la maliziosa definizione proposta da Andrea Marcenaro, bensì l’autorevole direttore scientifico della Fondazione Farefuturo. Con questo non intendo certamente attribuire le opinioni di Campi al presidente di Farefuturo, Gianfranco Fini; ma se la fondazione oggi gioca un importante ruolo politico, se le opinioni espresse dagli intellettuali che vi fanno riferimento rimbalzano su tutti i media, è perché si tratta di uno strumento politicamente vivo e attivo, e non solo di un circolo di pensatori aventiniani.

Non credo che la classe dirigente del Pdl, con tutti i suoi limiti e difetti, possa essere giudicata dilettantesca per i problemi nati sulle liste a Roma e Milano. L’errore è stato tutto politico, e mi pare che nessuno, a destra e a sinistra, anche tra gli intellettuali, ne avesse avuto consapevolezza preventiva. Abbiamo tutti sottovalutato il peso che in queste elezioni, con la candidatura Bonino, avrebbe acquistato la strategia pannelliana delle incursioni nel territorio delle regole, per far saltare le convenienze e le stratificate abitudini dei partiti, guadagnando un’assoluta centralità. I guastatori radicali volevano dimostrare come la raccolta delle firme per la presentazione delle liste fosse costruita su regole a cui gli stessi grandi partiti non sono in grado di attenersi, quando le norme siano applicate rigidamente.

E pazienza se a rimetterci è anche la sinistra, attirata dentro un gioco che non padroneggia, ideato da Pannella e gestito da Di Pietro, che è in grado, certo assai più di Bersani, di inserirsi con piglio demagogico nelle situazioni di disordine, e utilizzarle.

Trattandosi dunque di un errore di valutazione politica, e non solo di pasticci dovuti a impreparazione tecnica o di piccole trame sulle candidature, è a livello politico che bisogna rispondere.

Berlusconi lo ha fatto, con la sua straordinaria capacità di riprendere in mano saldamente una situazione di crisi e di assumersene generosamente le responsabilità, senza cercare il capro espiatorio. Lo ha fatto mettendoci la faccia, difendendo il suo partito e il suo candidato, anche se la Polverini viene attribuita all’area finiana e se nel Pdl laziale la componente di ex An è prevalente. In questo modo ha confermato non, come scrive Campi, che ogni appuntamento elettorale è un referendum sulla sua persona, ma che (purtroppo o per fortuna) non c`è nessun altro che possa contendergli la leadership.

E Campi, che è uno storico, sa bene che nelle società contemporanee i partiti senza una leadership adeguata sono destinati a perdere.

Tratto dal Il Riformista.