Polonia, nella sfida delle destre vincono i moderati di Komorowski

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Polonia, nella sfida delle destre vincono i moderati di Komorowski

06 Luglio 2010

E ora? Bronislaw Komorowski è il nuovo presidente della Polonia dopo aver vinto domenica 4 luglio il ballottaggio col 52,6% dei voti contro il 47,3% di Jaroslaw Kaczynski. A Varsavia festeggiano per aver raggiunto la stabilità politica, con maggioranza parlamentare, governo e presidente dello stesso partito politico. Ma l’euforia sarà breve. L’agenda politica resta nebulosa, come incerta è la strategia per rispondere alla crisi economia e alle ambiguità verso Bruxelles e Mosca.

Col nuovo presidente, la Polonia ha chiuso una duplice congiuntura di instabilità, prima sul lungo e poi sul breve periodo. Dal novembre 2007 fino al giorno dell’incidente aereo di Smolensk, in cui è morto nell’aprile scorso l’ex presidente della repubblica Lech Kaczynski e 89 altissimi esponenti polacchi, la coabitazione tra il presidente e l’attuale primo ministro, Donald Tusk, è stata un conflitto. Nonostante il sostegno di una forte maggioranza centrata sul partito Piattaforma Civica, Tusk e la politica riformista in economica e conciliatrice all’estero sono stati spesso colpiti dal veto legislativo del presidente – che ha bocciato, tra l’altro, la riforma delle pensioni e dell’agricoltura. Il liberalsocialismo di Tusk e il conservatorismo dei gemelli Kaczynski hanno scatenato ricorrenti contese elettorali: Lech sconfisse Tusk alle presidenziali del 2005, ma Tusk sconfisse a sua volta Jaroslaw alle legislative del 2007. Ma queste due anime della destra polacca non sono mai riuscite a trovare una sintesi costruttiva. L’elezione di Komorowski cancella questa frattura e stabilizza il baricentro politico e ideologico su posizioni di centrodestra moderato e riformista. 

La Polonia di oggi chiude anche il breve periodo del vuoto politico creato dalla tragedia di Smolensk. Ma a differenza delle aspettative più diffuse, né la classe politica, né il popolo ha reagito con toni emotivi. Gli stessi funerali della coppia presidenziale sono stati un momento di composta sobrietà pubblica. E’ come se l’improvvisa decapitazione delle più alte gerarchie istituzionali e militari si fosse auto-relegata in un dolore privato anziché sfogarsi in una tragedia collettiva. Questo fenomeno ha avuto notevoli ripercussioni sulla campagna elettorale, che non ha mai raggiunto punti di scontro o colpi bassi. I due grandi candidati non sono stati tanto scelti dai partiti o in base al loro consenso politico. Komorowski e Jaroslaw Kaczynski si sono trovati nelle circostanze fortuite per sfidarsi. In quanto presidente del Sejm, il parlamento polacco, Komorowski è diventato per legge presidente pro-tempore, acquisendo quella visibilità pubblica che non aveva all’inizio. Una candidatura di alto prestigio istituzionale, con una personalità politica abbastanza opaca, è stata perfetta per vincere le elezioni ma non ritrovarsi un presidente carismatico di sicuro intralcio per il premier Tusk. Da parte sua, Jaroslaw Kaczynsky non poteva non raccogliere la sfida per proseguire la strada del gemello defunto, quando il loro partito, Legge e Giustizia, non riesce più a trovare nuove energie, nelle idee e negli uomini.

Oggi la Polonia è molto più stabile. Ma anche la sua crisi, economica ed internazionale, è ancora da risolvere. Una campagna elettorale giocata sulle ideologie e i valori, dalla democrazia all’identità nazionale, non ha certo fornito le strategie per risanare l’onere del deficit pubblico o riformulare le relazioni con Mosca e Bruxelles dopo la bocciatura del trattato di Lisbona e la tensione per i missili americani in Polonia puntati contro la Russia. Ora il governo di Tusk non ha più alibi per procedere velocemente sulla strada delle riforme, sorretto da una crescita record del Pil nazionale superiore al 3%.  Paradossalmente aver vinto le elezioni costringe Tusk, prima ancora di Komorowski, a vincere la difficile sfida delle riforme. Kaczynsky si prepara già alle elezioni legislative e amministrative del 2011, quando sarà il governo a dover pagare il costo in popolarità che comporta ogni dolorosa ma necessaria riforma. La vera campagna politica è appena iniziata.