Popolazione senza speranza ma per la giunta un pugno di riso può bastare

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Popolazione senza speranza ma per la giunta un pugno di riso può bastare

19 Maggio 2008

Sono passati 15 giorni dal disastro che ha colpito l’ex Birmania e solo oggi il numero uno della giunta militare al potere, il generale Than Shwe, ha lasciato la nuova capitale, Nay Pyi Taw, per andare a Rangoon e constatare di persona la situazione nelle zone colpite dal ciclone “Nargis”. Il capo del regime ha visitato i sobborghi dell’ex capitale, Hlaingtharya e Dagon. Un’inutile passerella, mentre gli aiuti umanitari continuano ad essere ostacolati dalla giunta, che vive nel costante terrore di infiltrazioni straniere. La diplomazia nelle ultime ore sta tentando una nuova carta: l’ONU e l’Organizzazione dei Paesi del Sud Est asiatico, infatti, provano a mettere in piedi un’azione congiunta. La decisione potrebbe essere presa già oggi nel corso del vertice di Singapore, al quale partecipa anche il responsabile degli affari umanitari dell’ONU, John Holmes, arrivato ieri da Rangoon.

Nel frattempo dalla Thailandia partono le prime proteste contro il regime del Myanmar. I manifestanti chiedono un intervento deciso dei Paesi occidentali e delle Nazioni Unite, così da mettere fine all’odioso fenomeno di “filtraggio” operato dal regime dell’ex Birmania. Secondo l’ONU gli aiuti – finora – sono giunti a mala pena al 25 per cento della popolazione. 

Aung Thet Wine, inviato per il “The Irrawaddy” a Laputta (una delle zone più colpite) racconta di una situazione sempre più desolante. È entrato nella pagoda che offre ospitalità a migliaia di senza tetto dopo che le loro case in poche ore sono state rase al suolo. Laputta rappresenta uno spaccato di come vivono i sopravvissuti al disastro che ha provocato oltre 130 mila vittime, tra morti e dispersi. 

Nel Paese dove, per volontà della giunta, non si è fermata l’esportazione di riso, le persone sono costrette a fare la fila per accaparrarsi una ciotola grande quanto un bicchiere d’acqua. Spesso si accalcano anche quando gli si grida che non ce n’è più, e di tornare al nuovo turno di razionamento. Un bambino in braccio alla madre piange, ha fame, lei cerca di stordirne l’impazienza avvicinandolo al suo seno che non ha più la forza di generare latte. 

“Il Progamma Alimentare Mondiale (Wfp) – spiega Thet Win – è arrivato nella zona da pochi giorni. Hanno coordinato un programma di distribuzione “a grappolo”. In questo modo si sta cercando di dividere tra la gente cibo, vestiti, medicine ed acqua potabile. Un operatore delle Nazioni Unite afferma che nella zona fino adesso sono stati approntati 49 ricoveri provvisori per un totale di 33. 887 rifugiati. “Noi – spiega il funzionario – provvediamo con 36 tonnellate di riso al giorno, che dividiamo in 720 sacchi, e cerchiamo di distribuire in 5 chili (diciamo due lattine quotidiane) alle famiglie affamate. Ma molte zone ancora sono irraggiungibili e lì il riso non arriva completamente”. 

I 49 campi provvisori includono i monasteri di Tha-Baik Kyo, Set Taw Yar, Lay Htat Kyaung, Tha-Yet Taw, Min Kyaung, Nanda Wun, Myo Lel Kyaung, Kyaik Htee-Yoe, oltre a diverse scuole e, appunto, la pagoda di Taung Pyi.  Gli sfollati di Laputta salgono fino a 35.000, in un distretto che conta 508 villaggi, con una media di abitanti tra i 3.000 e i 10.000. 

In base alle stime della Croce Rossa, ad oggi i colpiti dalla furia del ciclone sono circa 2 milioni e mezzo. Le operazioni di evacuazione si sono fermate da giorni e si calcola che tantissima gente continua a vivere nelle zone devastate in condizioni davvero disumane. Molti degli sfollati, infine, convivono con gravi problemi psicologici causati dal trauma del disastro. “Ci vorranno ancora parecchi mesi – conclude Aung Thet Wine – prima che la situazione possa tornare vivibile e tra i disperati far ricrescere un seme di speranza.