Porcellum da abolire, ma non si può usare un decreto-mannaia
11 Novembre 2013
Caro Direttore, nell’additare fidanzate e concubine occulte del cosiddetto Porcellum, Michele Ainis chiama direttamente in causa il governo.
La verità è che l’esecutivo ha sempre sostenuto, fin dal seminario di Spineto del maggio scorso, quando le criticità della legge vigente non erano ancora state sottoposte al vaglio della Consulta, la necessità della veloce approvazione in Parlamento di quelle correzioni che del Porcellum eliminassero le più evidenti inadeguatezze rispetto all’attuale contesto: una “safety net” che consentisse di andare al voto in caso di necessità, nella convinzione che un governo debba stare in piedi per quel che è in grado di fare e non per l’impossibilità di chiamare il Paese alle urne. Lo stesso Ainis, quale componente della commissione di esperti per le riforme costituzionali, sa meglio di altri come il governo non intenda abdicare a quella più complessiva riforma delle istituzioni all’esito della quale il Parlamento dovrebbe orientarsi verso una legge elettorale definitiva e innovativa, ma coerente e connessa alla nuova forma di governo. Si tratta dunque di due propositi affatto contraddittori, addirittura complementari.
Su un punto sono d’accordo con Ainis: la politica dovrebbe battere un colpo prima dell’udienza della Corte costituzionale del 3 dicembre. Non certo perché un intervento della Consulta metterebbe fuorilegge il Parlamento, ma per riaffermare la sua dignità e la sua capacità di risolvere i problemi senza delegarli a un organo giudiziario per quanto di garanzia. Su questo il governo di tutto può essere accusato fuorché d’inerzia, ancor meno di inerzia consapevole e interessata. E l’accusa appare tanto più ingiusta quando lo strumento d’intervento invece prospettato è quello del decreto legge.
La materia elettorale è infatti tradizionalmente considerata, non solo per ragioni tecnico-giuridiche, materia “parlamentare”, nella quale il governo può aiutare, supportare e orientare il dibattito parlamentare, non già sostituirsi ad esso attraverso la mannaia del provvedimento di necessità e urgenza. Più di altri, è un terreno nel quale un intervento d’urgenza del governo, ancorché di larga coalizione, aprirebbe seri problemi di “sistema” (da quello delle fonti del diritto, a quello dei rapporti governo-Parlamento). Quanto alle ragioni di necessità e urgenza, che sole possono giustificare l’adozione di un decreto, nel caso in specie dovrebbero essere dettate dalla volontà di recarsi al voto in tempi brevissimi. Al di là delle diverse opinioni sull’opportunità di un ravvicinato ricorso alle urne nelle attuali condizioni del Paese, il fatto è che ad essere rigettata dalla stragrande maggioranza dei costituzionalisti è proprio l’ipotesi di un decreto governativo che nell’imminenza delle elezioni incida sulle regole che presiedono alla trasformazione dei voti in seggi.
Con l’approssimarsi dell’udienza della Corte – che secondo Ainis non solo potrebbe dichiarare incostituzionali aspetti del Porcellum, ma addirittura, facendo prevalere la “supplenza” sull’osservanza dei propri precedenti, affermare la reviviscenza del Mattarellum che comunque, nell’attuale quadro più che tripolare, non garantirebbe affatto quella governabilità che tanti richiedono a una legge elettorale -, la politica ha da rivendicare fermamente la propria dignità e il proprio ruolo. Ma non è certo realizzando “sbreghi” come quello rappresentato da un decreto legge in materia elettorale che tale dignità verrebbe riaffermata.
(Tratto da Corriere della Sera)