Porsche-Volkswagen: fusione in vista?
20 Maggio 2009
“L’obiettivo resta la fusione con Volkswagen”. Questo il nocciolo dello scarno comunicato emesso nella serata di ieri dal direttivo di Porsche. La saga che tiene vicendevolmente legate le sorti delle due prestigiose case automobilistiche tedesche è insomma destinata a continuare. Negli ultimi quattro anni ci eravamo quasi abituati all’idea che fosse Porsche a dover rilevare, passo dopo passo, il colosso con sede a Wolfsburg. Poi d’un tratto, nemmeno un mese fa, il colpo di scena: il prestigioso marchio di Zuffenhausen, guidato dall’ultramilionario Wendelin Wiedeking, ha denunciato perdite per nove miliardi. In appena un giorno l’epica scalata si è dissolta. Troppi i debiti accumulati. Il deal con VW e la crisi finanziaria hanno messo ko il gruppo di auto sportive.
Tutto ciò dopo che solamente nell’ottobre scorso Porsche era arrivata ad assicurarsi il 51% di Volkswagen, con l’intento (prima sottaciuto, poi reso noto) di metterne in portafoglio ben il 75%. Se, comunque, già in precedenza, le chance di acquisire il controllo effettivo del gruppo Volkswagen sembravano estremamente modeste per via della minoranza di blocco in capo al Land Bassa Sassonia, ad oggi le prospettive di un takeover si sono del tutto affievolite. D’altra parte, la complicata vicenda economico-finanziaria che avvolge i due simboli del capitalismo tedesco si intreccia alla interminabile partita a scacchi tra i numerosi discendenti di Ferdinand Porsche, fondatore di Volkswagen e del gruppo automobilistico che porta ancora oggi il suo nome. Da una parte della barricata c’è infatti Ferdinand Piëch, il nipote di Porsche, dal 2002 presidente del consiglio di sorveglianza di VW nonché azionista di maggioranza dell’azienda di famiglia; dall’altra il cugino Wolfgang Porsche, presidente del consiglio di sorveglianza della casa di Zuffenhausen e il suo Ceo Wendelin Wiedeking. Inizialmente Piëch era favorevole all’idea di riunire sotto un unico tetto i due gioielli di famiglia, ma poi, circa un anno fa, il timore che i piani di Porsche potessero appannare la sua leadership l’hanno spinto a cambiare opinione, facendosi scudo con il sindacato e con i politici che siedono nel consiglio di sorveglianza. Porsche, dal canto suo, ha pervicacemente tentato di perseguire l’obiettivo della scalata, rimproverando al governo tedesco di aver fatto di tutto per non modificare come si deve la famosa legge Volkswagen che attribuisce una sorta di veto sulle decisioni strategiche ai politici locali. La normativa, cassata dalla Corte di giustizia europea nel 2007, ha visto nuova luce nel 2008, senza che tuttavia tutti i rilievi della Corte venissero presi in considerazione.
Oggi, insomma, i ruoli si sono invertiti e tocca al colosso di Wolfsburg mostrare i muscoli per costringere alla resa il piccolo carrozziere del Baden-Württemberg. Ai primi di maggio, sull’onda dei rumors che davano per raggiunta l’intesa tra Fiat ed Opel, anche l’accordo tra Porsche e VW pareva ormai questione di ore. Poi la situazione è nuovamente precipitata per via delle accuse rivolte da Piëch al management di Zuffenhausen, reo- a suo dire- di aver pesantemente compromesso la solidità finanziaria del marchio. Prima di procedere ad una fusione, Porsche deve mettere ordine in casa propria. Questo il senso delle parole di Piëch. Tanto più che recentemente la Bafin, l’organo tedesco di controllo dei mercati finanziari, ha aperto un’inchiesta per far piena luce sulla trasparenza delle operazioni di borsa attuate da Porsche nell’ottobre scorso.
Negli ultimi due giorni i vertici delle rispettive case automobilistiche avrebbero dovuto incontrarsi per definire una volta per tutte i termini dell’affare. Ma gli attriti tra Wiedeking, artefice della scalata e ora grande sconfitto e Piëch hanno fatto saltare l’appuntamento. Intanto, mentre Porsche è alla disperata ricerca di un investitore che ne sani i conti, la stampa tedesca ipotizza che la situazione possa finalmente disincagliarsi dall’ingresso sulla scena di Martin Winterkorn, l’ad di Volkswagen, unico in grado di fare da paciere tra i due clan familiari in lotta.