Portare a scuola il mito della Costituzione non serve a fare nuovi cittadini

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Portare a scuola il mito della Costituzione non serve a fare nuovi cittadini

09 Novembre 2009

Sul Corriere di ieri, Ernesto Galli della Loggia ha accesso i riflettori sul preoccupante portato culturale che deriva dall’introduzione nelle scuole italiane dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, e dai contenuti che gli si vogliono attribuire.

Si tratta di un opportuno grido d’allarme che spero non verrà lasciato cadere. Perché, così come è stato impostato, l’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, oltre a presentare tutti i pericolo che Galli della Loggia evidenzia, si espone anche ad alcuni rischi più contingenti e più politici, che non per questo però vanno persi di vista.

Nel momento in cui si avvicina la discussione sulla revisione della nostra legge in materia, legare il concetto di cittadinanza alla Costituzione rischia di trasferire il tema su un piano del tutto sociologico e ideologico, rendendolo metastorico. La cittadinanza, invece, non può perdere l’ancoraggio all’interesse nazionale, che per sua natura è contingente in quanto va sempre considerato in relazione a un determinato contesto storico. Essa, per questo, deve saper contemperare tutti gli aspetti che confluiscono nell’idea di nazione. La conoscenza e il rispetto della Legge fondamentale è solamente uno di questi. Ce ne sono altri, non meno importanti, come la lingua, la comprensione della tradizione, il coinvolgimento emotivo e psicologico.

A meno che, passando per la cittadinanza, non si voglia legittimare il concetto piuttosto astratto di “patriottismo costituzionale”, che sostituisce la condivisione di un’anima con la sottoscrizione acritica di un testo.

Qui entra in gioco il secondo elemento del previsto insegnamento scolastico: la Costituzione, per l’appunto. Essa è stata un grande risultato storico-politico proprio perché ha tenuto conto delle contingenze particolari nelle quali si trovavano il mondo e l’Italia, e si è proposta come compromesso che con il tempo si sarebbe potuto perfezionare. La sua stesura iniziò nel ’46, quando ancora vigeva l’accordo fra le grandi forze popolari che trasferiva in campo ideale l’alleanza che nella seconda guerra mondiale aveva avuto ragione del nazi-fascismo. Quando si terminò di scriverla, alla fine del ’47, quell’alleanza si era rotta e il Paese si trovava in uno stato di grande incertezza, in attesa che le elezioni politiche del ’48 decidessero da quale parte del mondo, ormai diviso in due, l’Italia dovesse collocarsi. Basta rileggere gli atti dell’Assemblea costituente per comprendere cosa comportò quel cambiamento di clima, e come per i padri costituenti quel documento fosse un prodotto empirico e approssimativo: il migliore possibile nelle condizioni date, ma da modificare e migliorare allorquando la situazione lo avesse consentito.

L’aver trasformato quel grande risultato politico in un mito di fondazione è stata l’ipoteca che il Partito comunista è riuscito a porre sulla modernizzazione delle nostre istituzioni. Anche per questo nel corso dei decenni, mentre gli altri sistemi politici si evolvevano lasciando sempre più spazio e autonomia alla società civile, in Italia tutto è rimasto immobile e controllato dai partiti. E c’è voluta la caduta del Muro affinché qualche cambiamento sostanziale si verificasse.

Il paradosso è che proprio mentre si torna a parlare della necessità di sottoporre la Carta a revisione, pressuponendone perciò la storicità, della Costituzione si dà invece nelle scuole una interpretazione di tipo etico, che il collegamento biunivoco alla cittadinanza finisce inevitabilmente per rafforzare. E non c’è da meravigliarsi che nel momento in cui questo accade, vi sia chi chiede che i crocifissi vengano staccati dalle pareti delle aule, che l’ora di religione venga abolita o, al massimo, relativizzata e inflazionata.

Non sappiamo quanto consapevolmente, ma è indubbio che ci si trova di fronte a una strategia di sostituzione: deprimere in tutti i modi il significato identitario proveniente anche dalla nostra religione per creare lo spazio a una nuova religione civile. Così, senza neppure essercene resi conto, si sarebbe messo un mattone nella costruzione dello Stato etico. Quello vero, non quello immaginario che solo qualche mese fa siamo stati accusati di ricercare.