Possiamo pensare che tra laici e cattolici sia l’alba di un giorno nuovo?
01 Marzo 2009
Stando a quanto ha scritto Galli Della Loggia nel suo articolo sul “Corriere della Sera” di domenica 15 febbraio, la stagione dell’incontro tra laici e cattolici sarebbe ormai al tramonto. Non lo credo, ma lo temo. Galli Della Loggia è stato infatti uno dei protagonisti di quella stagione e la sua potrebbe essere una profezia che si autoavvera. Ciononostante vorrei sottolineare un paio di motivi che mi fanno pensare/sperare che egli si sbagli.
Anzitutto mi sembra importante fare una precisazione terminologica. Il dialogo di cui si parla riguarda infatti non tanto i cattolici e i laici in generale, ma soprattutto un certo mondo cattolico, diciamo così, culturalmente non di sinistra, e quella parte della mondo laico d’ispirazione liberale. Mondi, i quali, complice soprattutto la “questione romana”, nel nostro Paese si sono sempre guardati in cagnesco, con gravi danni per tutti, ma che, a partire dagli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino e il disastro di “tangentopoli”, hanno iniziato un provvidenziale dialogo, del quale, lo ripeto, Galli Della Loggia è stato sicuramente uno dei principali protagonisti. Orbene, domando: forse che, in Italia, sul fronte del dialogo tra cattolici e liberali la situazione è oggi peggiore di quanto fosse una quindicina di anni fa? Secondo me, assolutamente no.
Non nego che in giro ci sia “una ripetitività sempre più stanca”, scarso rinnovamento dei “contenuti” e magari anche poche “energie nuove”. Ma questo vale a tutte le latitudini culturali; mi sembra invece fuor di dubbio che su alcune questioni decisive, tra cattolici e liberali, si siano stabilizzati un confronto e una convergenza importanti –penso alla bioetica, ma anche al modo di interpretare il mercato, la società capitalistica e la stessa idea di libertà.
Galli Della Loggia ha ragione nel rimarcare le difficoltà che al dialogo tra cattolici e liberali sono state frapposte in questi anni da una “scarsissima presenza in campo cattolico di un’opinione pubblica colta non orientata a sinistra”. Ma anche su questo mi sentirei di essere più ottimista. Oggi, nel mondo cattolico, la cultura “di sinistra” non ha più quell’egemonia che aveva anni addietro. Certamente ciò è dovuto soprattutto all’azione di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e il Cardinale Camillo Ruini. Non trascurerei del tutto però il ruolo che hanno avuto anche quei pochi intellettuali (mi ci metto anch’io, per quello che può valere) che in questi ultimi due, tre lustri hanno fatto di tutto per sostenere le iniziative della “Fondazione Liberal” o della “Fondazione Magna Carta”, tanto per citare due istituzioni culturali che certamente hanno dato un contributo notevole all’incontro tra laici e cattolici nel nostro Paese. Su questioni decisive –si pensi al recente drammatico caso Englaro, alla riforma della scuola, dell’Università e altro ancora- cattolici e liberali continuano a dialogare, a cercare convergenze, più di quanto accadesse quindici anni fa. Soprattutto credo che su entrambi i fonti si sia affermata una chiara consapevolezza circa l’ineludibilità di tale confronto, reso tale ogni giorno di più da certo radicalismo di stampo laicista che sembra ormai aver avuto il sopravvento nella cultura cosiddetta “di sinistra”.
Una parola infine sul problema dell’autoreferenzialità “di cui tanto spesso la chiesa e il suo mondo ancora non riescono a liberarsi”. Riconosco che l’ autoreferenzialità -un problema che a dire il vero tocca non soltanto la chiesa- nella chiesa possa fare più danni che altrove. Vorrei però ricordare che c’è stato un Concilio proprio per “aprire” la chiesa al mondo e un papa –penso a Giovanni Paolo II- che ha speso tutto il suo lungo pontificato per metterlo in pratica per davvero, cercando di far capire quanto sia importante per il mondo aprire le porte a Cristo. Vorrei ricordare altresì che sotto il profilo politico-culturale le posizioni nella chiesa italiana si vanno facendo finalmente sempre più variopinte. Mi sembra insomma che, anche grazie agli effetti del “progetto culturale”, lanciato dal Cardinale Ruini all’inizio degli anni Novanta, la chiesa italiana sia oggi meno autoreferenziale di ieri, più capace di “stabilire rapporti realmente paritari” con chi è fuori dal suo mondo. Galli Della Loggia ha ragione nel rimarcare come sia “accaduto tante volte che, pur mostrandosi molto interessata al dialogo con i laici di orientamento liberale, la chiesa e i suoi esponenti fossero pronti, però, con lo stesso interesse (anzi assai spesso di più), a incontrarsi con i più aspri avversari di quelli, con quei laici intransigenti che magari vituperavano gli altri proprio a causa –colmo dei paradossi- del dialogo da essi intrattenuto con il mondo cattolico”. Ma questa incongruenza nel comportamento della chiesa non credo che dipenda da un eccesso di autoreferenzialità. Dipende piuttosto da molti fattori, alcuni dei quali sono stati individuati assai bene da Galli Della Loggia, vedi la spregiudicatezza politica di alcuni uomini di chiesa e di certi movimenti, oppure il semplice desiderio di “mettersi in mostra”. Non trascurerei però la difficoltà a liberarsi dagli schemi culturali che per anni hanno reso la chiesa e il mondo cattolico succubi della cosiddetta cultura “di sinistra”, travasatasi oggi in quella “laicista”, né il clericalismo vanesio di quest’ultima, la quale, per quanto pregiudizialmente ostile a tutto ciò che sa di culturalmente “cattolico”, reputa pur sempre un vanto poter incontrare a quattr’occhi un cardinale.