Prima di allargarsi ancora l’Unione Europea deve capire come e quanto
18 Maggio 2011
Spesso si critica l’Unione Europea e quando si analizza la sua recente politica di allargamento è possibile capire il perché. Sembra che alcuni politici Europei seduti a Bruxelles a volte dimentichino di rappresentare gli interessi dei propri cittadini portando avanti alcune decisioni assolutamente poco chiare e sospette. Negli ultimi dieci anni, la politica europea che regola le procedure d’allargamento è stata alterata, ignorata e modificata a proprio piacimento. Bisogna dire che l’allargamento europeo è un fattore positivo, ma solo se avviene entro regole ferree e definite. L’Italia, essendo tra i Paesi membri fondatori, deve mostrarsi in maniera ferma e risoluta. Deve far applicare tali regole senza mai ammettere nessuna eccezione/agevolazione per nessuno, poiché tale leggerezza rischia di offuscare l’immagine dell’Unione e paralizzare la sua funzionalità interna ed esterna.
Oggigiorno ci sono una decina di Paesi che mirano a far parte dell’Unione Europea. Alcuni di loro hanno già uno status di candidato (Turchia, Croazia ecc.) altri no, ma per tutti loro deve valere un’unica regola che garantisca un iter chiaro e trasparente. Questo aiuterà la reale standardizzazione delle procedure e migliorerà la compatibilità tra il paese candidato e la comunità europea. La verità è che più volte tale requisito è stato violato da Bruxelles, mettendo in crisi la credibilità delle regole per l’adesione. Tale azione non danneggia solo la nostra autorevolezza di comunità rispettosa delle leggi, ma anche quella dello Stato aspirante che entra nella comunità prematuramente, ritrovandosi in svantaggio strutturale. Facciamo un paio di esempi: l’allargamento del 2007 in cui Bulgaria e Romania entrano a far parte dell’Ue, o alcuni casi dell’allargamento del 2004. È difficile comprendere alcune scelte fatte da Bruxelles, alle quali i Paesi candidati non hanno alcuna voce in capitolo. Questi Paesi non avendo ancora completato il processo di democratizzazione e l’adeguamento alle strutture comunitarie si dimostrarono incapaci di adattarsi ai criteri ed alle richieste comunitarie, in una posizione sfavorita rispetto agli altri membri. Di conseguenza, alcuni Paesi dell’Ue applicarono delle regole transitorie verso i nuovi, che preclusero loro svariati benefici. Come la possibilità per i cittadini di stabilirsi liberamente in un altro Paese membro, e non solo.
Tale confusione nella politica di allargamento deciso di Bruxelles si mostra ingiusta proprio nei confronti dei Paesi che vorrebbero fare ingresso nell’Unione. Questi precedenti negativi rischiano di confonderli. È assolutamente necessario che tutti i requisiti per l’adesione siano rispettati prima che il candidato possa entrare a far parte dell’Ue. Ogni tentativo di agevolazione o di “scorciatoia ammessa” sembra poco coerente verso l’intero processo. Diversi Stati dell’Europa orientale hanno già raggiunto un livello medio nella trasformazione democratica, ma ciò non vuol dire che tutti siano pronti per l’integrazione. Molti di loro, hanno bisogno di ulteriori progressi, giacché anche il più insignificante squilibrio interno delle istituzioni democratiche rischia di minare l’intero risultato.
Rileviamo poi molte anomali se confrontiamo seriamente le precedenti adesioni, con gli standard dei Paesi aspiranti. Ad esempio, ritardiamo l’integrazione della Croazia (a causa della questione dei criminali di guerra e della loro necessaria cattura), che può ritenersi di gran lunga più democratica della Romania e della Bulgaria. Teniamo in sospeso l’adesione della Turchia, un Paese candidato da anni, perché ancora indietro soprattutto nella riforma della giustizia e nella lotta alla corruzione. Ma possiamo analizzare anche la situazione dei Paesi aspiranti, che ancora non sono stati candidati ufficialmente: ignoriamo completamente le aspirazioni europee dell’Ucraina, la quale, piaccia o no, già nel 2007 aveva le strutture democratiche paragonabili a quelle della Romania e della Bulgaria. Lo stesso dicasi della Georgia, che primeggia nell’Est Europa per il numero di riforme introdotte. Questa eguaglia alcuni nuovi membri dell’Ue in svariati indicatori democratici, anche se Tbilisi come Ankara necessità ancora di un serio lavoro per reinventare e modernizzare il suo sistema giuridico, alcune leggi del codice penale e civile, e quindi, i tempi per l’adesione, giustamente, non sono ancora maturi…
Come vediamo Bruxelles ha causato un "danno" serio che ci perseguiterà a lungo. L’Ue deve essere consapevole che conviene seguire la politica e le regole di allagamento in maniera rigida e determinata. Essa dovrà concentrarsi sulla standardizzazione di procedure ed essere "giusta" nei confronti di tutti. Un approccio diverso provocherà solo un ulteriore declino dell’Europa e minaccerà seriamente la sua esistenza e credibilità.