Primarie Pd, un’occasione mancata… per il Centrodestra!

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Primarie Pd, un’occasione mancata… per il Centrodestra!

08 Marzo 2016

Al di là delle polemiche sull’affluenza, dei sospetti sulla regolarità, dei battibecchi sui commenti del giorno dopo – tutte materie che lasciamo volentieri al Pd – l’esito delle primarie del centro-sinistra a Roma, Napoli e Milano ha un indubbio significato politico che, per ragioni diverse, dovrebbe dare da riflettere anche allo schieramento opposto e alla “terra di mezzo” dei moderati di osservanza renziana.

 

Per la prima volta dall’ascesa di Matteo Renzi al vertice del Nazareno, infatti, la vittoria di Roberto Giachetti a Roma e di Valeria Valente a Napoli, e prima ancora di Giuseppe Sala a Milano, sembra aver messo in discussione il consolidato equilibrio duale che aveva fin qui assicurato al premier la gestione del governo e la ricerca del consenso con licenza di sfondamento al centro, e alla sinistra del partito il controllo del territorio e delle periferie. La “ditta” nelle amministrazioni locali e il “giglio magico” a Palazzo Chigi.

 

Non vi è dubbio che con la doppietta capitolino-partenopea, al di là della disaffezione certificata dal calo dell’affluenza, l’ex sindaco di Firenze abbia compiuto un salto di qualità. Ha dimostrato di poter governare il Pd esportando sul territorio il proprio schema di rinnovamento. Ha imposto nelle principali città candidati di stretta osservanza che rappresentino per suo conto il centro del centro-sinistra e imbriglino la sinistra interna costringendola a votare per loro (diversamente da quanto accadde ad esempio in Liguria con Raffaella Paita).

 

La breccia renziana nei campanili chiamati al voto rappresenta in qualche modo un elemento di ordine nel quadro politico, ponendo un argine al doppio registro in virtù del quale il premier si era fin qui servito tanto della sua minoranza interna quanto dei malleabili alleati di governo usando di volta in volta il forno degli uni per ridimensionare e tenere a bada gli altri.

 

Nel nuovo schema Renzi non ha più alcun interesse (semmai ne avesse avuto) a coltivare alleanze al centro. Non riteneva di aver bisogno di partnership stabili in campo moderato neanche quando a predominare sul territorio era la “ditta” (tant’è vero che il determinante sostegno centrista in Senato è stato sempre ripagato con posti di potere e mai con il riconoscimento di una dignità politica), figuriamoci ora che sta riuscendo a esportare la mutazione genetica dell’ex Pci dal centro alla periferia.

 

Non sono tuttavia solo i “moderati per Renzi” (felice conio di Denis Verdini che è l’unico ad aver capito che l’unica porta di accesso al fantastico mondo dell’ex sindaco di Firenze è l’ingresso nel Pd) a dover trarre dal nuovo corso qualche elemento di riflessione e anche di preoccupazione. E’ evidente infatti che la definitiva autonomizzazione del premier nella rappresentanza del centro del centro-sinistra toglie agli attuali partner di governo qualsiasi residua speranza di diventare un domani alleati a tutto tondo.

 

Ma è altrettanto evidente che se il vecchio centrodestra pensa di poter contrapporre a questo quadro di rinnovata chiarezza politica la chiusura in se stesso, l’autoreferenzialità, il rifiuto di allargare i propri confini, arrivando a servire agli avversari palle come quelle delle elezioni a Roma che avrebbero potuto essere mandate in goal a porta vuota, per l’area alternativa alla sinistra sarà l’ennesima occasione mancata.

 

Mentre il segretario del Pd rafforza il suo controllo sul partito, il premier è sempre più in difficoltà: sul terreno dell’economia (vedi posizione dell’Eurogruppo), sul terreno dei rapporti internazionali (vedi gestione della vicenda libica), nel rapporto con il Paese (le riforme avrebbero dovuto essere un momento unificante e invece il referendum è stato trasformato in una corrida). Paradossalmente, a tenere in piedi il governo è proprio la mancanza di un’alternativa credibile.

 

La costruzione di questa alternativa avrebbe dovuto essere avvertita come urgente. Il tempo corre inesorabile e dalle prossime amministrative avrebbe dovuto passare la trincea di un nuovo inizio. La conquista dei campanili è da sempre terreno di sperimentazione politica perché fucina di virtuose contaminazioni, e mai come questa volta la sinistra si presenterà a molti degli appuntamenti elettorali menomata, scontando l’eredità di un oggettivo malgoverno (a Roma soprattutto, ma non solo).

 

Se la risposta del centrodestra alla sfida è quella splendidamente rappresentata dalle surreali primarie con un nome solo da celebrare nei gazebo della capitale, il presidente del Consiglio, nonostante le difficoltà di cui sopra, può stare sereno (davvero, non in senso renziano) e rischia di restarlo a lungo.

 

(Tratto da Huffington Post)