Processo storico al comunismo italiano

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Processo storico al comunismo italiano

22 Marzo 2007

“L’Italia è il paese occidentale la cui storia è stata più profondamente condizionata dal comunismo. L’entità e i modi di quest’influenza sono stati solo in parte evidenziati dalla ricerca storica e ancor meno recepiti dal senso comune”. Sono queste le parole con cui oggi si è inaugurato il convegno su “L’influenza del comunismo nella storia d’Italia”, organizzato dalla Fondazione Magna Carta, presieduta dal senatore Gaetano Quagliariello, e dall’associazione L’Ircocervo dell’onorevole Fabrizio Cicchitto. Non un convegno sul comunismo, ma il primo convegno su questo tema tanto annoso quanto dibattuto, alla cui organizzazione non ha partecipato l’Istituto Gramsci. Il timore, nelle intenzioni degli organizzatori e dei relatori, è che “la cognizione di quanto il comunismo abbia influenzato le vicende politiche dell’Italia venga dispersa per operazioni di offuscamento della verità storica. Per questo chi è convinto che la storia di un paese risieda anche nella consapevolezza del proprio passato ha il dovere di recuperare il senso di una ricerca costruita su dati di fatto”.

La partecipazione nella veste di relatori dei principali storici dell’Italia contemporanea e del comunismo, da Piero Craveri a Francesco Perfetti, da Victor Zaslavsky ad Elena Aga Rossi, dallo stesso Quagliariello a Giovanni Orsina, assicura al convegno quel carattere scientifico, e privo di qualsivoglia intento propagandistico, necessario a far prevalere la realtà storica sulla “coloritura” ideologica. Colore che ha contrassegnato la vita della Repubblica e della sua memorialistica, soprattutto su questi temi. Seppure non sono mancati aspre critiche di natura politica: la mancata risposta del presidente del Senato, Franco Marini, alla richiesta proveniente da una settantina di storici di  pubblicare la gran parte degli atti della commissione Mitrokhin, è il segno – rileva Craveri – della persistenza di veti di natura politica che ancora ostacolano il lavoro storiografico. 

Il convegno s’inserisce nel processo di smitizzazione della storia e del ruolo del comunismo in Italia. “Molta di quella che viene considerata storia è soltanto un mito”, ricorda Aga Rossi. Il mito del PCI come partito nazionale, autonomo da Stalin e da Mosca, il mito della resistenza e della diversità rispetto agli altri partiti comunisti europei, il mito di Gramsci, il mito di Togliatti e ora il mito di Berlinguer. La coscienza e il pensiero nazionale devono liberarsi dai miti creati dal comunismo.

“Il comunismo nelle sue varie tendenze ha segnato la storia italiana dal ’43 ai giorni nostri e continua a condizionarla tuttora anche sul terreno politico e parlamentare oltre che su quello del dibattito culturale”, dice Cicchitto. Il PCI, infatti, ha trasmesso geneticamente paradigmi e linee d’azione ai suoi eredi diretti: l’uso strumentale del pacifismo nella propaganda antiamericana e antioccidentale, per esempio, così come la demonizzazione dell’avversario o l’antiberlusconismo, divenuto versione aggiornata dell’antifascismo e dell’anticapitalismo, quindi strumento di lotta politica.

“Il tentativo eurocomunista di Berlinguer”, sottolinea Quagliariello, e “la ricerca dell’autonomia dall’Unione Sovietica”,  servivano “a salvare e non a superare la prospettiva comunista”. “Il PCI, in tal senso, anticipa di un decennio il tentativo Gorbaciov ma, dal punto di vista storico, non riesce a sfuggire allo stesso esito di sconfitta. Una differenza c’è: in Italia la sconfitta è giunta a rate, anziché tutta insieme. E le scissioni che si annunziano nei DS non sono altro che lo smaltimento degli ultimi residui di una storia fallimentare. L’impossibilità o l’incapacità di uscire da questo solco ha finora impedito ai DS di diventare un partito autenticamente riformista”.