Prodi ha vinto bene, finalmente, un’elezione
11 Maggio 2017
Prodi ha vinto bene, finalmente, un’elezione. “Sono preoccupatissimo perché sono mesi e mesi che si tira avanti” dice Romano Prodi al Corriere della Sera del 9 maggio. Da parte mia sono un po’ preoccupato per il ritorno di protagonismo di un uomo ricordato per come (particolarmente male per l’Italia come ha magistralmente spiegato Giuseppe Guarino) ha gestito prima da premier italiano poi da presidente della Commissione europea l’applicazione del Trattato di Maastricht e per come ha da sempre la tendenza a intrecciare abbastanza sistematicamente affari e politica, emblematiche le sue “privatizzazioni”). Un certo mio allarme nasce dal fatto che il professore bolognese da un paio di settimane dice la sua su tutto: si appella al “lascito con cui la Consulta ha ribadito la piena costituzionalità del premio di maggioranza” (dichiarazione raccolta dal Corriere della Sera dell’1 maggio), non vuole il voto anticipato: “Fin da ragazzo mi hanno insegnato che vanno rispettati i termini fissati dalla legge” (dichiarazione sulla Repubblica del 7 maggio), sulle primarie ricorda come “I miei voti furono quasi tre volte quelli di Renzi” (Repubblica del 3 maggio), di Emmanuel Macron dice: “Porrà fine ai vertici europei a senso unico, in cui la Merkel dava la linea dottrinaria e gli altri capi di governo facevano le conferenze stampa” dice ad Huffington Post Italia dell’8 maggio e inoltre l’apparizione del nuovo presidente francese rappresenta “un’inversione di tendenza dalla portata storica” (così su Linea Press del 9 maggio). Mentre su Renzi aggiunge “All’Italia serve trovare una sua strada” (La Stampa del 2 maggio). Insomma sembra quasi un politico che abbia vinto finalmente un’elezione. Quella delle presidenziali francesi.
Woody Renzi. “La grande coalizione voglio farla, sì, ma con la nostra gente, con i circoli, con i militanti” dice Matteo Renzi a Repubblica del 3 maggio. Autoalleanza come autoerotismo, in puro stile Allen: non parlate male della masturbazione, è sesso con la persona che più amo.
Abbasso il whiskey. “Slowly but surely english is losing importance in Europe” così il Financial Times del 9 maggio raccoglie una battuta di Jean.Claude Juncker che spiega come lentamente ma inesorabilmente l’inglese – inteso come lingua – stia perdendo importanza in Europa. Al fondo non è una novità. Si sapeva come il presidente della Commissione europea preferisca i Paesi dove il cognac suona.
Nella stagione della post-politica devono contare solo establishment e “deep State”. “Despite the mundane quality of the Clinton emails, the media covered them as a profound revelation” David Leonhardt sul New York Times del 10 maggio scrive che nonostante il carattere puramente mondano delle e mail della Clinton la stampa americana se ne è interessata troppo appassionatamente. L’opinionista del Times invita a prendere esempio dai media francesi che non hanno seguito alcuna e-pista sugli eventuali peccadillos di Emmanuel Macron. Si stenta a credere che si possa accusare i quotidiani e le tv americane di essersi accanite su Hillary e dunque di avere fatto il gioco di Trump. Però in quest’ottica è ragionevole applaudire il sistema francese dove l’alleanza-integrazione tra establishment e “deep State” potrebbe suscitare l’invidia persino di Vladimir Putin. Ps. Trump talvolta ci sconcerta per le sue mosse, far fuori James Comey perché si è comportato male con Hillary Clinton durante la campagna elettorale, è sicuramente paradossale, anche se persino il Washington Post osserva come il direttore dell’Fbi se la fosse andata a cercare pasticciando in modo inconsulto nelle sue deposizioni al Congresso. Ora in molti (vedi anche lo scatenato Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 10 maggio) ricordano Richard Nixon che licenziò quelli che dovevano indagarlo e poi finì per doversi dimettere. Qualcun altro rammenta come anche Bill Clinton licenziò un direttore dell’Fbi. Comunque anche alla luce delle osservazioni che facevo sulle posizioni di un giornalista “liberal” come Leonhardt, oggi siamo di fronte in America e nel mondo a un difficile passaggio, sappiamo come le nostre democrazie siano anche delle poliarchie dove poteri di settori dell’establishment e del deep State contano al di là del sistema della sovranità popolare, sappiamo che questo in una logica peraltro mai perfetta di divisione dei poteri e di non assegnazione di tutti i poteri allo Stato, è inevitabile. La questione andrebbe comunque tenuta costantemente sotto attenzione, impegnandosi (sia pure con le cautele necessarie) a difendere il ruolo del voto popolare anche quando premia persone che possono apparire sgradevoli come Trump. Un mondo affidato solo alla post politica del vasto establishment e del deep State non avrà mai sufficiente legittimità per affrontare i conflitti politici, economici, militari che non mancheranno anche nelle prossime fasi di storia dell’umanità.