Prodi non sa a chi dare la colpa del suo fallimento e se la prende con Ruini
09 Giugno 2008
Prodi contro Ruini: sostiene che non gli abbia perdonato di essersi definito “cattolico adulto”. Per questo motivo il Cardinale avrebbe armato contro il Professore un’opposizione politica in grande stile. Marco Marozzi su La Repubblica di sabato scorso scioglie e precisa l’accusa dell’ex-premier. Prodi, secondo l’autorevole fonte, contesta all’allora Presidente della Cei di aver favorito lo stabilirsi di un rapporto collaterale tra il centro-destra e la Chiesa. E, per questo, di aver preferito ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti “quelli laici magari puttanieri ma obbedienti”.
Non è stato un caso che lo sfogo dell’ex premier abbia coinciso con la visita che Berlusconi ha reso al Santo Padre. Se Marozzi lo ha ben interpretato – circostanza della quale non dubitiamo -, si è finalmente compresa la fonte d’ispirazione vera e originaria del prodismo: i farisei.
Basterebbe questo ad archiviare la pratica. Ma se si mettono da parte le questioni di stile e di buon gusto, lo sfogo prodiano pone almeno un paio di problemi seri relativi al rapporto tra religione e politica, che vanno al di là del veleno che solo chi si ritiene troppo e troppo in fretta a posto con la propria coscienza sa iniettare.
Il Cardinal Ruini non ha certo bisogno di difensori d’ufficio. L’accusa che gli viene mossa di partigianeria per il centro-destra è risibile. E’ noto, ad esempio, com’egli non abbia condiviso la scelta di Berlusconi d’inibire all’Udc alle ultime elezioni di essere presente nella coalizione con un proprio simbolo. Altre volte, su questioni altrettanto importanti, Ruini non ha certo lesinato le proprie critiche, così come non ha nascosto l’auspicio – proprio al fine di vincere quella tentazione di collateralismo che gli viene invece attribuita – di vedere i cattolici di tutti gli schieramenti muoversi all’unisono.
Quest’attitudine è propria di chi ha compreso che, nella situazione odierna, la Chiesa debba intervenire sulla scena pubblica parlando dal pulpito senza mediazioni. E, soprattutto, senza mediatori. Preoccupandosi il giusto d’apparire d’accordo o di lesinare critiche. Sulla base di posizioni motivate esclusivamente dalla volontà di non vedere espunti dalla vita civile di una nazione i principi della propria dottrina.
E’ questa una modalità di condotta imposta dai tempi che si stanno vivendo. La fine del partito unico dei cattolici ha fatto venir meno la possibilità che la Chiesa usufruisca di un braccio secolare. La progressiva politicizzazione dei temi antropologici ha fatto il resto. Anche per questo è inutile e fuorviante invocare – come ha fatto l’ex ministro Fioroni – il precedente di De Gasperi per segnalare una presunta diversità di stile con Berlusconi. Sono incomparabili sia le situazioni storiche, sia il rapporto della Chiesa con la politica sia, infine, la realtà del mondo cattolico italiano.
Per questo Prodi, anziché prendersela con Ruini, farebbe bene a riflettere sul fallimento delle premesse dalle quali il progetto dell’Ulivo aveva preso le mosse. Esso implicava la possibilità di una compresenza, in uno stesso schieramento, di forze cattolico-democratiche e di altre che invece negano alla radice quei principi etici che la Chiesa ritiene indisponibili. E questa convivenza si sarebbe dovuta sviluppare non su di una base laico-programmatica ma, piuttosto, attraverso la pratica di quella che il Cardinal Martini ebbe a definire “una costante mediazione antropologico-etica”. Alla prova dei fatti la ricetta è risultata un fallimento. E questo Prodi farebbe bene a metterlo sul conto suo e dei suoi alleati. Ruini non c’entra un bel niente.
E’ la situazione storica e il clima culturale che la segna a non consentire a tale mediazione d’essere praticata senza cadere con tutte le scarpe nel relativismo culturale. Allo stesso modo, il contesto esterno svela l’illusione di chi vorrebbe che la religione degradasse a questione eminentemente privata. D’altro canto, non è casuale che quanti auspicherebbero questo confinamento sono però sempre pronti a compiacersi della loro presunta coerenza, a fronte dei “peccati” commessi dai loro avversari.
Per un uomo politico la coerenza dei comportamenti è certamente importante, sempre che non si trasformi in presunzione fatale di perfezione. Ma a giudicarla sono gli elettori. La Chiesa, invece, non può e non deve assumerla come metro di giudizio. Non può certo scagliare la prima pietra. E la distinzione dalle cose dello Stato (che non è separazione) le impone di limitarsi a fare il possibile affinché nella vita pubblica non siano posti al bando quei principi sui quali si fonda il suo magistero.
Al proposito torna utile, una volta ancora, l’insegnamento di laicità che Gesù seppe impartire ai farisei. E ci sovviene un dubbio: vuoi vedere che Prodi non ha compreso di aver fallito non soltanto in quanto troppo adulto ma anche perché troppo cattolico?