Professionisti della Costituzione. Dai Tetti di Montecitorio alla Resistenza Tradita
17 Settembre 2013
«Non abbiamo cercato di fare cosa perfetta, perché la perfezione non è di questo mondo. Non abbiamo nemmeno cercato di fare una Costituzione bella: i romanzi sono belli, ma la Costituzione non può essere bella, deve essere convenevole». Il 12 marzo 1947 Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 incaricata di elaborare il progetto di Costituzione della Repubblica italiana, non nascondeva l’orgoglio per l’afflato e lo spirito costruttivo che avevano animato il lavoro dei Padri costituenti, da cui era scaturito, nella temperie della Guerra fredda, un nobilissimo compromesso politico che rispondeva alle necessità storiche. Nondimeno, egli ha più volte messo in guardia dai rischi di una concezione statica dello stesso processo costituente: «Carattere della nostra, e di tutte le Costituzioni moderne – argomentava – è la rigidità; che tuttavia non equivale a cristallizzazione ed immodificabilità». Si può anzi affermare che «con una serie di riforme democratiche la nostra Costituzione sfiderà il tempo. Ed il Parlamento nuovo non morrà».
Basterebbero queste parole a sconfessare gli attuali monomaniaci vocianti del fronte ultraconservatore, i quali hanno fatto del recinto costituzionale una sorta di buen retiro al cui interno si saldano pregiudizi e ideologismi (ovviamente ammantati dalla sempre eterna presunzione di superiorità etica ed estetica), miscela esplosiva capace di orientare la crociata dei novelli paladini della legalità costituzionale contro gli ispiratori di un presunto assalto «piduista» alla Carta. Le invettive sono tutte rivolte all’attuale governo, che dopo decenni di dispute teoriche, disquisizioni accademiche e tentativi andati a vuoto, ha fatto dell’ammodernamento del sistema istituzionale italiano una delle sue ragioni costituenti, nella consapevolezza che si tratta di un sentiero obbligato da percorrere perché il paese possa rendersi competitivo al tempo della globalizzazione. Cosicché, prima ancora che il Parlamento entri nel merito delle possibili opzioni di riforma, i professionisti del caos politico permanente hanno deciso di bruciare i tempi e di alzare le barricate.
La sceneggiatura è sempre la stessa, trita e ritrita: da un lato l’indecorosa gazzarra della deputazione grillina, culminata nella nottata trascorsa per protesta all’addiaccio sul tetto di Montecitorio; dall’altro, tra gazebo e megafoni in piazza, tutto un fiorire di petizioni inneggianti alla “Resistenza tradita” e di appelli che l’ordine sacerdotale degli intellettuali rivolge all’opinione pubblica: italiani, non potete mica assistere impassibili alla violazione delle regole che governano il funzionamento della nostra democrazia. Peccato che l’aura di propugnatori della sacralità della Legge fondamentale dello Stato mal si addica a Rodotà, Zagrebelsky e compagnia vociante, essendo totalmente altri gli intendimenti che ne ispirano l’azione. Il professor Rodotà smentisce, si indigna, tiene a precisare che le iniziative in difesa della Carta non debbono essere percepite «né come una zattera per naufraghi né come un onorato rifugio per reduci di battaglie perse». Con altrettanta enfasi dovrebbe però spiegarlo a quei compagni di viaggio che hanno sottoscritto in pompa magna il suo grottesco manifesto per una «via maestra»: Di Pietro, Ferrero, Ingroia, Landini, Vendola.
Mossi dal disprezzo per questo governo «contro natura», tutti insieme appassionatamente sognano di dar vita a un nuovo soggetto politico che restituisca voce e rappresentanza a quella sinistra radical chic rimasta fuori dal Parlamento. Senza indugi utilizzano a fini strumentali la Costituzione più bella del mondo; quella stessa Costituzione che a parole dicono di amare, ma che ogni giorno sono i primi a dileggiare.