Punto di vista
01 Luglio 2011
Non avevo tempo di trattenermi con Ricky e me ne andai di corsa. Proprio prima che mettessi in moto il motorino mi arrivò un sms da Rita: mi comunicava che l’abitazione di Mario Delusse: era in via Jacini.
La notizia era ottima, ci sarei andato immediatamente.
Non ci misi molto ad arrivare e non ebbi alcun problema a trovare la porta giusta a cui bussare.
Il ragazzo che mi venne ad aprire era androgino: le mani curate e nervose ricordavano quelle di una donna. Sembrava imberbe e mi ricordava sotto molti aspetti uno degli apolli che affollavano le ville dell’antica Roma.
Non mi sembrava molto forte: le sue belle braccia sottili da garçonne erano troppo esili per poter incutere qualsiasi tipo di soggezione.
Portava un cache-col amaranto con camicia grigia, gilet e pantalone neri.
Non so se le labbra fossero cosparse di lucidalabbra, ma il loro colorito mi sembrava artificiale. Era dunque quel ganimede il segretario personale dell’assessore.
– Desidera? — mi chiese con affettazione.
– Vorrei parlare con lei, se non le crea disturbo.
– Chi è lei, scusi?
– Sono Laerte Sglen. Sto scrivendo un articolo per la Gazzetta e vorrei il suo punto di vista su questa sciagurata faccenda, visto che era il suo segretario e quindi la persona più indicata per poter parlare del defunto.
Mi parse interdetto. In fin dei conti lo ero andato a disturbare a casa durante il suo giorno libero. Dovevo essere quantomeno inopportuno. Non mi avrebbe stupito se mi avesse mandato via, ma lacerando tutti i miei pronostici, mi disse in tono affabile:
– La casa è tutta in disordine, preferirei al bar. Vogliamo andare a Tarantini? Si lavora sempre meglio di fronte a una cioccolata calda.
Il breve tragitto lo facemmo a piedi, chiacchierando. Sembrava un ragazzo simpatico. Visto che eravamo quasi coetanei eravamo entrati subito in confidenza e ci eravamo dati del “tu”.
Io ordinai un cappuccino e Delusse una cioccolata calda.
Questo dimostrava che la teoria di Giosuè sul cappuccino era sballata.
– Il tuo principale era una persona stimata e rispettata. Mi sai dire qualche lato inedito del suo carattere?
– Il suo era l’estetismo: amava farsi bello ed era vanitoso. Aveva anche uno specchio nell’ufficio.
– E dei suoi gusti?
– Era un tipo speciale, uno a cui piacevano… esperienze allucinanti.
– Beh, c’erano molte voci su di lui…
– Posso confermare che quella sulla sua omosessualità non fosse una voce. Era completamente e perdutamente innamorato di un attorucolo.
– Quindi confermi le voci?
– Sì.
Aveva ragione la signora Calcagni: chi lo conosceva non aveva esitato a dire com’era. Lei aveva solo detto che aveva un’amante, probabilmente nemmeno sapeva che era omosessuale.
– Per caso aveva lasciato qualcosa prima di uccidersi?
– No. Lo sciagurato assessore — una in interessante variabile di “povero”, ma non aveva detto né “povero” né “disgraziato” — amava moltissimo sua moglie, e anche se non ci andava d’accordo sessualmente, era la sua migliore amica. C’era un rapporto speciale fra loro.
– Eri in ufficio quel giorno?
– Sì, l’ho sentito quando ha gridato “Giuliana”.
– Mi sapresti descrivere il grido?
– Ricordo che mi sembrava una specie di gemito soffocato. Una escalation di suono: prima un suono indefinibile, poi “lian” e poi un gorgoglio sommesso.
Praticamente le stesse cose che mia aveva detto Rossana.
Fino alle sette di sera il segretario mi trattenne con le cravatte preferite dall’assessore, con la stoffa che prediligeva e altre melensaggini.
Fra le altre cose avevo saputo che erano stati episodicamente compagni di letto.
A casa ci arrivai alle sette e tre quarti per via di alcune commissioni.
Fra una cosa e l’altra, avevo quasi dimenticato che quella sera alle nove sarei dovuto andare a casa della Calcagni per conoscerne il compagno.
Non sarei potuto andare a mani vuote: sarebbe stato scortese.
(Fine capitolo 10)