Può la scienza, oltre che plasmare l’uomo, donargli la felicità?

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Può la scienza, oltre che plasmare l’uomo, donargli la felicità?

13 Novembre 2011

La rivoluzione scientifica ed industriale che, con la promessa di un dominio sempre più esteso dell’uomo sulla natura, aveva accompagnato il tema dell’utopia nel corso dell’Ottocento, da Fourier a Saint-Simon fino a Comte ed al positivismo, nel Novecento accompagna, nella letteratura, politica e non politica, ed anche nel cinema, il tema opposto della distopia, o utopia negativa o anti-utopia, il luogo, o il non-luogo, dove il “progresso” è finalmente realizzato ma dove l’uomo è infelice.

Si tratta del capovolgimento dell’immagine positiva e rassicurante della scienza e della crisi della stessa idea di “progresso”, non perche irrealizzabile, ma proprio perché realizzato, di cui si possono trovare i sintomi già in certe lezioni leopardiane. A quel “Fisico” entusiasta e pieno di sé che compare sulla scena delle Operette Morali contento di essersi guadagnato forse gloria eterna per aver scoperto “l’arte di vivere lungamente”, ed averne suggellate le formule in un suo nuovo libro, rispondeva il disingannato filosofo “Metafisico” che gli suggeriva di prendere una cassettina di piombo, di chiudervi dentro il suo libro, di sotterrala, e prima di morire lasciar detto il luogo dove andarla a dissotterrare in futuro, quando gli uomini avessero prima trovata “l’arte di vivere felicemente”. La scienza non serve alla felicità umana, così come tutto il progresso tecnologico-scientifico che essa dispiega massicciamente e che sempre più sembra spandere globalmente e uniformemente non risolve il problema della felicità. Ne era convinto Leopardi, che anche nella Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi già prefigurava anche il mondo del prossimo futuro abitato da macchine intelligenti, da robot capaci di sostituire l’uomo non solo nelle “cose materiali”, bensì pure nelle “spirituali”, convinto come era che “ormai non gli uomini ma le macchine trattano le cose umane e fanno le opere della vita” e che, nel medesimo tempo, gli uomini nell’“età delle macchine”, “procedono e vivono forse più meccanicamente di tutti i passati”.

Ma, nel Novecento, con la distopia, siamo ben oltre queste intuizioni ottocentesche, oltre l’idea di una metamorfosi più che kafkiana dell’uomo in macchina, anche oltre la chapliniana rappresentazione della fagocitazione dell’uomo da parte degli ingranaggi della macchina/catena di montaggio di Tempi moderni e quindi dell’idea marxiana della “reificazione”, dell’umano che si fa cosale e dell’inversione del rapporto soggetto/oggetto. Non solo, nel cinema, seguendo il filone fantascientifico e catastrofista, il tema della dominazione della tecnica e delle macchine sull’uomo diventa maggiormente pregnante del genere distopico. E basterà ricordare solo l’atmosfera di due grandi film come 2001: Odissea nello Spazio e Blade runner: la scienza, i computer e le macchine governano qui la società degli uomini. La distopia rinvia l’immaginazione ai fantastici quanto terribili regimi totalitari del futuro, come quello costruito da George Orwell nel celebre romanzo 1984, od alle ipotetiche società ancora future e del tutto illiberali, gerarchizzate ed invivibili, come il mondo fra centinaia di migliaia di anni dei Morlocchi e degli Eloi della Macchina del tempo di Herbert George Wells, o come il mondo di Noi, il romanzo dello scrittore russo Evgenij Ivanovič Zamjatin. Sullo sfondo di questi universi da incubo sono la scienza e la tecnologia scientifica, capaci di imporre una dittatura di tipo nuovo, spesso indolore ma omnipervasiva. In Brave New World di Aldous Huxley il progresso tecnologico regola così i processi della riproduzione umana, gli individui iniziano la loro vita in laboratorio e attraverso la manipolazione biologica e genetica escono dalla Sala di Predestinazione Sociale per entrare come singoli elementi perfettamente integrati in una società rigidamente gerarchizzata.

Può la scienza trasformare l’uomo, mutarlo, riplasmarlo? La risposta affermativa sembrerebbe venire, dalla metà del Novecento sino ad oggi, dall’ingegneria sociale e comportamentista, con la scuola di Barrus Skinner per esempio. Ma la distopia sorgerà anche da qui. Il problema è affrontato da Anthony Burgess in A Clockwork Orange, e poi da Kubrick nel suo capolavoro cinematrografico: si può fabbricare forse proprio attraverso la scienza e la manipolazione scientifica l’uomo nuovo, l’uomo dell’utopia, l’uomo buono e felice, ma al prezzo di conculcargli la libertà. Alex, il protagonista violento di Arancia Meccanica, attraverso il bisturi ed un intervento chirurgico sul suo cervello sarà trasformato in un cittadino esemplare ed ogni pulsione di male sarà eliminata dalla sua natura, ma con ciò egli al contempo verrà privato del libero arbitrio, della possibilità stessa di poter scegliere… e di poter scegliere anche il male. Nel fondo oscuro di questo incubo distopico sembra portata ai parossismi l’antinomia già posta da Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore, contenuta nel romanzo I fratelli Karamazov, tra felicità e libertà, tra ordine e caos, tra pace e dolore.

Spogliata dalle vesti della fantascienza, nei romanzi di Michel Houellebecq la distopia sembra scaturire direttamente dal nostro tempo come proiezione di un domani ormai inevitabile e prossimo, od anzi già presente. Questo autore scomodo e contestato, per qualcuno enfant terrible della letteratura francese contemporanea, “autore importante, tradotto in tutto il mondo, poco amato dalla critica e soprattutto incompreso dal suo tempo” secondo una definizione che egli stesso dà di sé nel suo ultimo romanzo La carta e il territorio, ci offre un riassunto impietoso dello stato di salute globale dell’umanità del XXI secolo. Nei suoi libri ci sono i temi dello smarrimento della possibilità dell’amore, come tratto essenziale della nostra epoca, delle ipocrisie della libertà sessuale, dell’alienazione e dell’estraniamento dell’individuo contemporaneo, della crisi dei valori della civiltà occidentale e del suo inarrestabile tramonto. In Estensione del dominio della lotta lo sfondo è quello di un pianeta illuminato con i neon di uffici informatici ed alienanti e di ospedali psichiatrici, traboccante del cemento di città inumane dove “tutto è sporco, sudicio, mal tenuto, rovinato dalla costante onnipresenza di automobili, dal frastuono, dall’inquinamento”. Su questa tela di dispiega il rovesciamento dell’utopia della libertà nel suo contrario: la libertà economica come la libertà sessuale si sono trasformate alla fine del secondo millennio della nostra èra in una guerra di concorrenza e di competizione spietate ed inumane dove i “vinti” accumulano disoccupazione, miseria e solitudine. Ma lo scenario dei suoi romanzi è appunto quello di un mondo in cui la scienza ed i suoi trovati hanno riplasmato completamente la società degli uomini ed instaurato un totalitarismo tecnologico. Più e più volte i protagonisti dei suoi libri corrono a frugare nel libro della scienza per rimodellare il nostro mondo e perfino l’uomo e la vita. Nelle Particelle elementari un biologo molecolare scopre il modo di ottenere la clonazione umana nella speranza di da dare agli uomini una vita “perfetta”, liberandoli dalle prigioni della sessualità e dell’amore ed, insieme, dagli squilibri dalla vita emotiva e sentimentale.

Gli scienziati sono i nuovi profeti e sacerdoti che riusciranno a “instillare in un pubblico sempre più vasto l’idea che l’umanità, al punto in cui è arrivata, possa e debba controllare l’insieme dell’evoluzione del mondo, ed, in particolare, possa e debba controllare la propria evoluzione biologica”. Questo mondo disumano e disumanizzante dove sembra possibile costruire artificialmente l’essere umano appare già pienamente realizzato in un romanzo successivo, La possibilità di un’isola: “questi tubi contengono le sostanze chimiche necessarie alla fabbricazione di un essere vivente” ed in una “bolla trasparente nascerà il primo uomo concepito in maniera interamente artificiale; il primo autentico cyborg!”. I “Futuri”, gli uomini asessuati del domani, sono degli automi che vivono appiattiti in un mondo asettico, senza gioie, né dolori, né desideri. La clonazione è riuscita infine a donare agli individui la possibilità di una vita eterna, oltre la morte. “La barriera della morte non c’è più” annuncia uno scienziato risorto in un proprio clone davanti ad una folla immensa di fedeli, “la porta è stata varcata”. Come il Fisico di Leopardi gli scienziati di Houellebecq hanno trovato il modo di “vivere lungamente”, ed anzi di vincere la morte. Ma è appunto qui che la porta della distopia è varcata, perché è dal centro di questo universo inquietante che risorge il dubbio del filosofo metafisico circa la possibilità della scienza di rendere anche all’uomo la felicità.

Sarà allora da questo nero incubo di un mondo perfettamente razionale e meccanico che rinascerà, nella Possibilità di un’isola, una nuova promessa utopica di poter far ritorno alla libertà, alla vita ma anche alla morte, alla sofferenza ed infine all’amore, vero luogo dove si realizza l’uomo e la felicità, alla “possibilità di un’isola in mezzo al tempo, in cui tutto è facile, in cui tutto è dato nell’attimo”.