Putin non sarà un “peacemaker” ma conosce l’arte del compromesso
08 Ottobre 2016
Il presidente Vladimir Putin festeggia 64 anni e sul ponte di Manhattan, a New York, qualche buontempone appende un maxiritratto dello “zar”, con sullo sfondo bandiere russe e siriane e la scritta “peace-maker”. E’ lo stesso giorno in cui si ricorda l’omicidio di Anna Politkovskaia, la giornalista uccisa nel 2006 che aveva denunciato le violazioni dei diritti umani in Cecenia e la svolta “autoritaria” del governo russo (per l’assassinio della giornalista sono state condannate 6 persone, due gli ergastoli). Ma, esattamente, oggi dove va la Russia di Putin?
Al momento non pochi analisti concordano sul fatto che in uno scenario globale sempre più multipolare, con centri di potere sparsi un po’ dappertutto, Putin sappia muoversi con grande astuzia e fiuto politico. Quando si parla di “ordine internazionale”, infatti, occorre sempre distinguere tra i centri di potere economico e quelli politico-militari, visto che spesso, da soli, gli assetti politico-militari di un Paese sono in grado di influenzare le dinamiche internazionali, il sistema delle alleanze e così via.
Negli ultimi anni, la Federazione Russa ha visto certamente una continua e significativa flessione del Pil, specie se la paragoniamo alla crescita economica di paesi come USA, Germania o Cina, ma Mosca resta un importante centro di potere politico-militare con cui tutti devono fare i conti, come si è visto in teatri diversi, dalla Siria all’Europa orientale. Putin ha lasciato intendere che, per continuare ad avere un ruolo di peso (spesso in contrasto con gli interessi USA e NATO), Mosca dovrà conservare il suo “second strike” nucleare, che garantisce la sicurezza russa, agendo da deterrente e permettendo a Mosca di imporsi anche in modo aggressivo.
Tutto questo spiega i recenti e massicci investimenti russi in campo bellico. La strategia militare russa non è tanto quella di accorciare le distanze con la NATO in campo tecnologico-militare – impresa difficile se non ardua, considerando le limitate capacità economiche del Paese – bensì di mantenere intatto lo status quo, politica che non è certo a costo zero e richiede continui investimenti. Putin nel corso del tempo è riuscito a riportare la Federazione Russa ai livelli di 25 anni fa e di questo bisogna prendere atto.
Mosca chiede alle cancellerie occidentali di non ‘sconfinare’ nelle aree immediatamente adiacenti alla Russia, che il Cremlino chiama “Near Abroad” (vicino estero). Forse è arrivato il momento di accettare la realtà dei fatti e cioè che il “cortile di casa” russo va rispettato se si vogliono evitare nuove tensioni o conflitti, com’è avvenuto in Ucraina. Già nell’agosto del 2008, la Russia ne aveva fatto una questione di principio. Il tema era, allora come adesso, la sicurezza (o la percezione di essa che si ha a Mosca). Putin vuole evitare di trovarsi sempre più faccia a faccia con la NATO, che considera il suo principale avversario, ma nello stesso tempo si muove per cercare una qualche forma di compromesso, che sarebbe stupido non cogliere.
Si pensi ai casi della Georgia o della Moldavia. La frenetica corsa della Georgia verso la NATO, negli anni scorsi, ha avuto come risultato lo smembramento territoriale del Paese, ma il successivo allontanarsi della prospettiva “atlantica”, e il suo congelamento de facto, nello stesso tempo sembrano aver ridato una certa stabilità politica interna al Paese. D’altra parte la crescente integrazione europea della Georgia non viene più percepita come un rischio immane per gli interessi nazionali del Cremlino. Vedremo come andranno le cose dopo il voto georgiano alle politiche di oggi.
Dunque la novità è che la Russia, aggressiva quando percepisce una espansione della NATO come una minaccia alla sua sicurezza, appare disponibile al compromesso davanti a processi di democratizzazione e di europeizzazione come quelli in corso in alcuni Paesi del “vicino estero”. In Stati come Georgia e Moldavia ci sono stati significativi passi avanti nel processo di avvicinamento alla ‘Unione Europea (Agreement for Association, Free Trade Agreement e da ultimo il Visa Free movement, cioè la liberalizzazione dei visti). Limitare una azione della NATO verso Europa Orientale e Caucaso, non vuol dire abbandonare questi Paesi alla mercè russa. Il “tacito compromesso” con Putin, per una Europa divisa come quella attuale, potrebbe valere quasi come una vittoria.