Quagliariello: “Europa, Italia, comunità. La persona davanti alle istituzioni”
19 Gennaio 2013
Cari amici,
grazie innanzi tutto per essere qui oggi. Sono giorni concitati, ma l’impressione è che in questo avvio di campagna elettorale un quadro politico che sembrava un po’ confuso si vada delineando con sempre maggiore chiarezza proprio sulla base dei contenuti. In un momento di grave crisi le tattiche, le ipocrisie, le false apparenze hanno il fiato corto. La crisi esige risposte ed esige chiarezza di visione. Dunque, una campagna elettorale in tempo di crisi non può che essere un confronto tra concezioni tra loro alternative sulle base delle quali declinare le rispettive ricette di governo.
Restare a metà del guado non è possibile. Chi ha provato a farlo, chi ha pensato che in politica si potesse “salire” fino a elevarsi sopra la linea di demarcazione che in tutta Europa distingue le grandi famiglie del popolarismo e della socialdemocrazia, chi ha ritenuto che i programmi di governo potessero prescindere dagli orientamenti ideali, ha dovuto prendere atto che ciò non era possibile. Che gli atti compiuti e le proposte avanzate non sono neutri, e che a qualificare una scelta di campo non sono solo le posizioni espresse ma anche quelle su cui ci si rifiuta di esprimersi. Ecco, da questo insieme di pensieri, opere e omissioni è evidente che il professor Monti si è collocato nella parte sinistra del campo.
Non si tratta di una astratta e retriva disputa ideologica. Le scelte di campo comportano l’adesione a una determinata visione del mondo, ed è la visione del mondo a orientare le ricette di governo, anche sul terreno economico e delle politiche sociali. A meno di non voler pensare che tutto possa essere risolto con la tecnica. Di questo vi parleranno gli amici Eugenia e Maurizio subito dopo questa mia breve introduzione. Nel programma che ci siamo dati, a me tocca spiegare come la concezione dell’uomo possa tradursi sul piano istituzionale.
Innanzi tutto, il centrodestra non è certo un monolite. Il Popolo della Libertà è una grande casa politica nella quale sono confluite storie, esperienze e culture diverse. La sfida è renderla solida, capace di resistere alle intemperie del nostro secolo e governarne le inedite criticità. E ciò non può avvenire che attraverso le fondamenta di un perimetro ideale comune, valido per credenti e non credenti in quanto patrimonio della nostra tradizione e della nostra civiltà. Esso si fonda proprio sulla centralità della persona, sulla persona come fine e misura di ogni scelta politica e di ogni azione di governo.
E dalla centralità della persona discende naturalmente una precisa visione delle istituzioni: europee, statali e territoriali.
L’Europa, innanzi tutto. L’Europa popolare che abbiamo in mente è l’Europa dei padri fondatori. E’ l’Europa di De Gasperi, costruita sull’armonizzazione degli interessi nazionali e non sull’imposizione di distruttive egemonie. E’ l’Europa che traccia ponti e non barriere tra il Baltico e il Mediterraneo, tra la patria del rigorismo e la culla dell’umanesimo solidale e dello Stato di diritto. E’ l’Europa che, alle spalle della nostra moneta unica, non lascia un deserto istituzionale nel quale i singoli egoismi trovino lo spazio per contendersi il predominio economico e finanziario, ma che vede nell’euro la prima tappa per una unione bancaria e per una unione fiscale, che devono essere i nostri primi obiettivi. E’ l’Europa che aspira a una autentica unione istituzionale e politica che consenta a ogni cittadino di sentirsi tale e a ogni Stato nazionale di sentirsi responsabile, in quanto protagonista con i suoi legittimi interessi da difendere e con la propria quota di sovranità da portare in dote affinché non sia dispersa ma trasferita in una dimensione sovranazionale. In tal senso, la proposta dell’ex-ministro tedesco Joschka Fischer di dare vita a una Camera alta con rappresentanti eletti dai parlamenti nazionali meriterebbe di essere presa in considerazione.
Dunque l’Europa che vogliamo, l’Europa della centralità della persona, è l’Europa con un’anima, l’Europa dell’integrazione nel solco di una identità. E’ questa l’Europa del popolarismo di cui ci sentiamo parte integrante mentre altri ne prendono sdegnosamente le distanze, ragion per cui abbiamo motivo di ritenerci in Italia l’unica chiara alternativa alla sinistra e alla socialdemocrazia europea.
A proposito di Italia. La sfida istituzionale che ci aspetta nel nostro Paese non è meno rilevante. Anche in questo caso, il confronto è tra il mito del codice e la centralità della visione. Nei manifesti programmatici della sinistra, il riferimento primario è la Costituzione, nella cui applicazione “corretta e integrale” risiederebbe il rimedio alla crisi della democrazia. Per quanto ci riguarda, l’ancoraggio è alla nostra tradizione nazionale, ai valori comunitari e di libertà, a ideali preesistenti alla stessa Carta costituzionale in quanto patrimonio naturale di un popolo di cui la Costituzione è prodotto storico.
Questa difformità di approccio si trova alla base del differente giudizio del centrodestra e del centrosinistra sulla categoria del carisma in politica e sulla personalizzazione delle istituzioni. Ma è anche una chiave di lettura che aiuta a comprendere per quale ragione, a fronte di una comune diagnosi sulla inadeguatezza dell’architettura istituzionale italiana rispetto alle sfide del nostro tempo, al dunque le scelte divergano.
Noi riteniamo che l’avvento della dimensione carismatica, determinato nel 1994 dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, abbia rappresentato uno spartiacque storico e un momento di profonda modernizzazione della democrazia italiana. Le vicende che hanno caratterizzato i successivi vent’anni della storia del nostro Paese non hanno potuto prescinderne, ma la sinistra non si è rivelata ancora in grado di riappacificare la propria storia con questa evoluzione del sistema. Lo dimostrano ad esempio le dichiarazioni di ieri di Pierluigi Bersani, che ha rivendicato l’assenza del suo nome dal simbolo del Pd definendo la scelta contraria un “tumore” che renderebbe la democrazia ingessata, inefficace e impotente. Ma lo dimostra ancor di più la mancanza di coraggio con la quale il Partito democratico si è lasciato sfuggire l’occasione storica di introdurre nel nostro Paese l’elezione diretta del presidente della Repubblica che noi abbiamo approvato al Senato.
Sul presidenzialismo noi non torneremo indietro nella prossima legislatura. Riteniamo infatti che anche questa sia una declinazione della centralità della persona, perché rafforzerebbe la sovranità del popolo, immetterebbe sangue vivo nelle vene della politica, renderebbe più autorevole e rappresentativa la presenza italiana nel consesso internazionale.
Nessun intervento di ingegneria istituzionale potrà tuttavia ridare piena sovranità ai cittadini e agibilità democratica al nostro Paese in assenza di una riforma della giustizia che restituisca piena operatività ai principi del giusto processo e stabilisca una autentica parità fra le parti; che attribuisca a chi amministra la giustizia una responsabilità proporzionata alle prerogative che l’ordinamento gli assegna; che non consenta di dilatare gli spazi di discrezionalità fino al limite dell’arbitrio, che priva i cittadini del diritto a un diritto certo. Che, infine, impedisca a una falange agguerrita di militanti rivoluzionari con la toga addosso di inquinare la vita democratica di un Paese e infangare i tanti colleghi che ogni giorno compiono il proprio dovere senza clamore e con grande sacrificio. Anche in questo caso ricordo che il governo Berlusconi, con l’allora ministro Alfano, presentò una riforma costituzionale della giustizia che avrebbe avuto una portata epocale e che la fine anticipata del nostro esecutivo impedi’ che fosse approvata.
Anche questo ha molto a che fare con la centralità della persona, perché contrappone una giustizia in funzione dell’uomo a una giustizia come ideale astratto da affermare magari anche sulla pelle degli innocenti. Se mi è consentita la citazione, il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
Mi avvio a concludere non prima però di aver dedicato qualche breve considerazione al terzo livello istituzionale, quello del governo locale. La dimensione del territorio ha molto a che fare con la persona, in quanto particolarmente funzionale a un’organizzazione sussidiaria della società. In una visione liberale lo Stato centrale deve concentrare la sua attenzione sulla salvaguardia dei diritti degli individui e sulla definizione delle regole generali che gli enti sub statali devono rispettare. Gli enti territoriali rappresentano invece delle enclavi dove i cittadini riescono a far sentire direttamente le loro esigenze, individuali e comunitarie, e riescono meglio a valutare l’operato degli amministratori. Rappresentano delle aggregazioni sociali dove meno si sente il peso dello Stato-apparato e più si avvertono i caratteri di solidarietà sociale e libera iniziativa, in opposizione al dirigismo centrale.
In questo senso va inquadrata la proposta di lasciare che sia il territorio a gestire parte consistente del gettito fiscale dal territorio stesso prodotto facendosi carico dell’erogazione dei servizi che non siano di stretta pertinenza centrale. Se correttamente attuato e temperato da adeguati meccanismi di perequazione, un modello del genere può rappresentare una opportunità storica specialmente per i territori più svantaggiati. La variabile fiscale diventerebbe infatti un driver fondamentale per attrarre investimenti e capitale umano, per indurre le amministrazioni pubbliche a evitare gli sprechi e utilizzare più efficientemente le risorse, per modulare la tipologia di imposizione in base alle reali esigenze del territorio, valorizzando i punti di forza e aggredendo i punti di debolezza. L’evoluzione in senso federale del nostro ordinamento troverebbe così il giusto completamento nella dimensione della responsabilità e di una autentica solidarietà, volano di sviluppo per il benessere delle persone e delle comunità.
(Il testo integrale dell’intervento del Senatore Gaetano Quagliariello all’evento “Tradizione, valori, politiche sociali nell’agenda di governo”, organizzato da Fondazione Magna Carta)