Quagliariello: su Eluana ho detto solo la verità

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Quagliariello: su Eluana ho detto solo la verità

03 Marzo 2017

In questi giorni la drammatica vicenda di Fabiano Antoniani e la discussione parlamentare sul cosiddetto testamento biologico hanno riacceso il dibattito su temi come la libertà di cura, le dichiarazioni anticipate di trattamento, l’eutanasia, con la sovrapposizione impropria tra casi molto diversi come quello di Piergiorgio Welby, quello di Eluana Englaro e quello dello stesso dj Fabo. In questo contesto si inserisce il commento di Claudio Martelli pubblicato sul “Quotidiano Nazionale”, dal titolo “Sorella morte”, sul quale mi soffermo per fatto personale e non solo.

Per arrivare al fatto personale è innanzi tutto opportuno fare chiarezza sui termini della questione. Esistono i malati affetti da patologie progressive e incurabili destinate a condurre il paziente alla morte (Welby), esistono i disabili gravi pienamente coscienti (Dj Fabo), esistono i disabili gravi in stato vegetativo (Eluana). Non è in discussione la libertà di cura: un malato in grado esprimere la propria volontà può sempre rifiutare un trattamento terapeutico. L’eutanasia vera e propria consiste nella pretesa che lo Stato possa somministrare direttamente la morte al cittadino che lo richiede. Cosa poco diversa è il suicidio assistito, quello che Fabo ha praticato in Svizzera: il gesto finale lo deve compiere il suicida, la clinica si limita a fornire la struttura e il farmaco.

Sono invece in discussione, nel senso che se ne sta discutendo in Parlamento, i caratteri e i limiti delle dichiarazioni anticipate che una persona può formulare in stato di coscienza per manifestare, in base al principio del consenso informato, le proprie volontà per il giorno in cui non dovesse essere in grado di esprimersi. E’ chiaro che anche qui si annidano atteggiamenti e richieste eutanasiche. Le differenze sono sottili ma, in questo campo, letteralmente vitali. Sono essenzialmente due i punti controversi: se alimentazione e idratazione possano essere considerate cure da poter quindi interrompere (io ritengo di no), e se le dichiarazioni anticipate debbano essere vincolanti per il medico, obbligato ad attuarle (e non è prevista l’obiezione di coscienza).

Personalmente, credo debbano piuttosto essere un elemento fondamentale del quale tener conto, ma in un quadro di alleanza terapeutica che non schiacci in modo burocratico né il malato né il medico su indicazioni espresse in un momento precedente, e a volte assai lontano, da quello in cui si vive l’esperienza della malattia. Bisogna cioè tenere conto di quell’elemento di insopprimibile esigenza di libertà che ogni uomo ha fino all’ultimo soffio di esistenza, che è anche libertà di cambiare idea in un futuro che è sempre aperto e che nel mistero della vita trova mille sorprendenti modi per manifestarsi (le testimonianze di coloro che hanno amorevolmente assistito Eluana Englaro sono in tal senso impressionanti). Anche perché, a differenza di quanto sostiene Claudio Martelli, la questione delle dichiarazioni anticipate non riguarda malati “morenti” (per i quali valgono i protocolli delle cure palliative), ma disabili gravi, non più in grado di esprimersi, o persone in stato vegetativo.

La morte di Eluana è un caso di testamento biologico ante litteram? No. A Eluana, non malata ma in stato vegetativo, cioè disabile profonda, non sono state sospese delle terapie in ottemperanza a una sua volontà consapevolmente espressa: Eluana è morta di fame e di sete con una sentenza di tribunale sulla scorta di una presunta volontà, ricostruita ex post grazie a qualche battuta (forse) pronunciata in giovanissima età, a seguito dello shock per l’incidente occorso a un suo amico. Per essere più chiari, una ragazzina tornando dalla visita all’amico in coma dice “mamma mia, non vorrei mai finire così”, e alcuni magistrati, quasi vent’anni dopo, stabiliscono che si tratta di consenso informato, sufficiente per staccarle il sondino e condurla alla morte.

E arrivo al fatto personale. Martelli scrive: “in Senato un ex radicale, Gaetano Quagliariello, urlò ‘assassino’ all’indirizzo del padre di Eluana, perché fece rispettare la volontà della figlia”. Come facilmente verificabile dai filmati e dai resoconti stenografici, quella sera in Senato io non ho mai detto “assassino” a nessuno né mi sono mai sognato di farlo. Di fronte alla cappa di insopportabile ipocrisia che si sarebbe voluto far calare sulla vicenda, di fronte a un tribunale che per la prima volta nella storia della repubblica ha permesso di far morire una persona di fame e di sete, ho detto soltanto la verità: “Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata“. Perché da ex radicale, dato biografico che certamente non rinnego, credo profondamente nella libertà della persona e chiamo le cose con il loro nome. E, se si mette da parte l’ipocrisia, la storia della morte di Eluana Englaro non è certamente una storia di libertà.